martedì 23 giugno 2015

Corriere 23.6.15
Il futuro dell’Ucraina L’irredentismo russo
risponde Sergio Romano


Conosco e condivido la sua opinione sugli eventi che hanno preceduto e preparato la crisi Ucraina; mi sembra però di non aver mai letto la parola «irredentismo» che ai vecchi italiani dovrebbe ricordare qualcosa e che a me sembra abbastanza appropriata, ovviamente riferita alla porzione russa della popolazione.
di Alberto Sala

Caro Sala,
I movimenti irredentisti si battono per riunire alla madrepatria i territori che le vicende storiche hanno assegnato a uno Stato etnicamente e culturalmente diverso. Nella storia politica italiana quei territori furono il Trentino, Trieste, le città di Pola e Fiume, l’Istria e alcune zone della Dalmazia. Le condizioni delle popolazioni russe in Ucraina sono sempre state alquanto diverse. Erano minoranze, ma appartenevano al gruppo etnico della nazione dominante e erano da lungo tempo assuefatte a vivere con altri gruppi nazionali nell’ambito di uno Stato (l’Impero zarista o l’Unione Sovietica) che era al tempo stesso russo e multinazionale. Non desideravano ricongiungersi alla Russia perché già ne facevano parte.
Un problema sarebbe sorto, naturalmente, se la regione in cui abitavano fosse divenuta uno Stato sovrano. Boris Eltsin ne era consapevole. Quando capì che la fine del comunismo avrebbe avuto, per inevitabile conseguenza, la fine dell’Urss, cercò di creare una entità nuova di cui avrebbero fatto parte anzitutto, insieme alla Russia, le Repubbliche in cui vivevano importanti nuclei russi. La Comunità degli Stati indipendenti nacque l’8 dicembre 1991 e il trattato fu firmato da Russia, Bielorussia e Ucraina, ma si allargò il 21 dicembre sino a comprendere altre repubbliche ex sovietiche fra cui il Kazakistan (dove i russi rappresentavano più del 30% della popolazione).
Con l’Ucraina, in particolare, Eltsin dette prova di grande buon senso. Evitò di rimettere in discussione il dono della Crimea a Kiev, voluto da Kruscev nel 1954. Quando venne in discussione la sorte di Sebastopoli (la maggiore base navale russa del Mar Nero) Eltsin propose la spartizione della flotta. La Russia avrebbe avuto l’81,7% delle navi, ma l’Ucraina avrebbe riscosso una somma corrispondente al valore delle navi che le sarebbero spettate se la spartizione fosse avvenuta alla pari. L’accordo aveva qualche ambiguità, ma fu rispettato e venne rinnovato più tardi, durante la presidenza di Dmitrij Medvedev. Era difficile immaginare che Mosca rinunciasse a una città eroicamente difesa contro la coalizione franco-russa-ottomana, durante la guerra di Crimea dal 1854 al 1855 e contro la Wehrmacht nella Seconda guerra mondiale dal 1941 al 1942.
Quell’accordo era fondato su una implicita condizione: che l’Ucraina continuasse a essere una sorta di ircocervo, l’animale mitologico che era per metà capra e per metà cervo, uno Stato-ponte con la testa nell’Europa centro-orientale e i piedi in Russia, o viceversa. La formula era opportuna anche perché i grandi centri siderurgici del Donbass (la regione in cui esiste una maggioranza russa) lavoravano per la Russia. I guai sono cominciati quando gli Stati Uniti e alcuni ambienti occidentali hanno cominciato a prospettare l’ingresso della Ucraina nella Nato. Fu quello il momento in cui il Paese smise di essere un ponte. L’irredentismo in Ucraina non esisteva. È stato creato da chi voleva indurre l’Ucraina a fare una inutile scelta di campo.