martedì 23 giugno 2015

Corriere 23.6.15
Villaggi incendiati, stragi, torture
Una persecuzione durata secoli
di Luigi Accattoli


Francesco chiede perdono a Valdo: si può forse dire così, per nomi e simboli, quanto è avvenuto ieri nel Tempio valdese di Torino, dove papa Bergoglio ha pronunciato un «mea culpa» inedito, che mai era stato formulato neanche da papa Wojtyla, che fu maestro di richieste di perdono e che andò quattro volte pellegrino a Torino e nel suo territorio.
Valdo (1140-1206 circa), iniziatore del movimento ereticale che poi dà luogo alla Chiesa valdese, è un contemporaneo di Francesco d’Assisi (1181 -1226): ambedue professano la povertà evangelica e la predicazione itinerante. Ma Francesco resta nella Chiesa di Roma mentre Valdo ne viene cacciato e oggi un Papa di nome Francesco chiede scusa ai suoi discepoli. Chiede cioè perdono per una persecuzione durata secoli e condotta con metodi — ha detto il Papa — «non cristiani, persino non umani».
Villaggi incendiati, stragi collettive, imprigionamenti, deportazioni, conversioni forzate, tortura e roghi fanno parte di quei metodi. Infine la chiusura nel ghetto delle Valli Valdesi. Metodi posti in atto da re e imperatori, ma comandati da Papi e da Congregazioni romane.
La prima condanna è emanata da Papa Lucio III nel 1184: i Valdesi, che allora erano detti «Poveri di Lione», vengono colpiti da «anatema perpetuo». Poco dopo la morte di Valdo, sarà la Crociata contro gli Albigesi a coinvolgere massivamente i seguaci di Valdo che intanto si sono diffusi dalla Francia meridionale verso l’Italia. Nel 1215 arriva la condanna definitiva, per eresia, dal Concilio Lateranense IV. Le condanne al rogo erano pronunciate «per valdesia». I sopravvissuti nel 1532 aderiscono alla Riforma di Calvino e da allora costituiscono una Chiesa riformata evangelica. Dopo l’adesione alla Riforma svizzera realizzano la prima traduzione della Bibbia in francese, che era la lingua parlata nelle Valli: ieri hanno donato al Papa una riproduzione della prima edizione di quella Bibbia.
Mentre successive spedizioni militari annientano le comunità valdesi della Francia e della Calabria (dove gruppi provenienti dalle Valli si erano diffusi a partire dal 1215), una guerriglia contadina costringe i Savoia a concedere una parziale libertà di culto ai valdesi delle tre Valli delle Alpi Cozie dove si trovavano i loro maggiori insediamenti: Pellice, Angrogna e Germanasca (Accordo di Cavour, 1561).
Ma da Roma premono per una soluzione finale e dopo un secolo di tolleranza, un’offensiva condotta da Vittorio Amedeo II dà luogo a un vasto massacro che costringe i superstiti a fuggire in Svizzera, da cui torneranno nel 1688. La vera libertà arriva nel 1848 con le Lettere Patenti di Carlo Alberto che riconosce ai Valdesi i diritti civili.
L’avversione della Chiesa Cattolica ai Valdesi resta tenace anche dopo quel riconoscimento. Giovanni Bosco, fondatore dei Salesiani, non perdonò mai ai Savoia le Lettere Patenti e nella sua polemica con autori valdesi usa espressioni di estrema violenza: «Intelletto oscurato», «cuore indurito», «uomo in delirio che parla».
Il mea culpa di Francesco presenta una singolarità rispetto a quelli che Giovanni Paolo II aveva rivolto in più occasioni a Luterani, Calvinisti, Ugonotti: in quei casi si trattava della grande Riforma protestante, mentre con i Valdesi Francesco si rapporta alla «prima Riforma», cioè ai movimenti ereticali del Medioevo.
È la seconda volta che papa Bergoglio riconosce un torto ecumenico compiuto dalla Chiesa di Roma: l’aveva già fatto con i Pentecostali il 28 luglio dell’anno scorso, durante una «visita privata» a una loro comunità di Caserta. In ambedue i casi si tratta di comunità minori del mondo protestante, delle quali nessun Papa fino a Francesco aveva avuto occasione di occuparsi se non per combatterle.