martedì 23 giugno 2015

Corriere 236.15
Tra gli irriducibili di Syriza
«Se Alexis cede a Bruxelles troverà le barricate in strada»
di Andrea Nicastro


ATENE In questi ultimi anni, l’argomento Grecia ha dato l’orticaria ai funzionari europei. Il debito, la corruzione, i bilanci truccati avevano lasciato il senso di un fastidio irrefrenabile. A gennaio i sintomi sono peggiorati con la vittoria di Syriza. Quindi è arrivato l’urticante Varoufakis, con quella supponenza professorale e i modi irrituali. Ora basta parlare di Piattaforma di sinistra perché le mani vadano tra i capelli.
Se Syriza è la coalizione di sinistra-sinistra che si è candidata anche in Italia alle ultime elezioni europee, Aristerì Platforma — la Piattaforma di sinistra — è la sua componente più estrema. I deputati che fanno riferimento a questa corrente sono tra il 30 e il 50 per cento dell’intera compagine di Syriza e non hanno pruderie a definirsi chi marxista, chi comunista, chi leninista e chi trotzkista. Fin qui è niente. La graffiata finale ai pendolari di Bruxelles arriva dalle posizioni anti euro degli aderenti alla Piattaforma.
Panayotis Lafazanis e Costas Lapavitsas, le due figure di maggior spicco, non sono banali profeti del ritorno alla dracma e all’autarchia, ma ritengono che — date le circostanze — la Grecia crescerebbe meglio fuori dall’euro. Come stella polare hanno il fallimento islandese del 2008 e la sua successiva risalita. Senza più debito, è il ragionamento all’osso, le risorse andrebbero alla crescita e non ai creditori. Magari sbagliano, ma ci vogliono altri economisti per ribattere ai loro argomenti con serietà.
«Parto dal presupposto che troveremo un accordo» ha detto ieri il presidente della Commissione Ue, Jean-Claude Juncker. Se ci riuscissero, come farebbe il primo ministro greco Alexis Tsipras a far ingoiare qualche rospo amaro del compromesso alla sua ala sinistra?
Secondo molti analisti, l’intransigenza di Tsipras gli è imposta dal tandem Lafazanis-Lapavitsas, forse sotto-rappresentati al tavolo negoziale europeo, ma appostati al varco del passaggio parlamentare. «Quelli della Platforma — dice al Corriere la giornalista televisiva Eirini Zarkadoula — si comportano ancora come se fossero all’opposizione».
Periodicamente da Bruxelles e da altre capitali emergono ipotesi, suggerimenti, auspici che Tsipras si liberi dei due leader anti euro e si appoggi a una nuova maggioranza più eurofila con i resti socialisti del Pasok o dei riformisti di To Potami. Non ce ne sarà bisogno secondo il politologo Yannis Politis. «In realtà la Platforma ha una funzione importante perché mantiene legati al governo i settori più intransigenti della società». Non è un caso, in effetti, che le piazze di Atene stiano vivendo il momento di maggior pace da molti anni a questa parte e che ieri, mentre la Borsa festeggiava l’ottimismo sui negoziati con rialzi record, in piazza Syntagma e nel quartiere anarchico di Exarchia bruciassero le bandiere blu dell’Ue e volassero le bottiglie molotov com’era abitudine fino a dicembre.
«L’atteggiamento di Tsipras è irresponsabile, sta perdendo un’occasione storica per modernizzare il Paese e farlo uscire dal clientelismo in cui affonda — dice Athanasios Kontogeorgis, ex consulente strategico di alcuni governi precedenti — . Rispettare le linee rosse dell’ala dura fa il male del Paese. Va bene difendere le pensioni, ma spieghi come sosterrà i pagamenti a medio termine».
Ancora diversa la posizione del sindacalista della Federazione Ellenica di Lavoratori, Hristos Panagiotopoulos, molto vicino alle idee di Platforma. «Tsipras si è impegnato a cancellare l’austerità e a convincere gli europei a cambiare strada. Se sono loro a convincere lui, se proporrà nuove tasse, la vera opposizione la troverà in strada, non in Parlamento». Un accordo a Bruxelles non suona come la fine della storia.