Corriere 19.6.15
Hong Kong, schiaffo (simbolico) alla Cina
di Guido Santevecchi
L’ assemblea legislativa di Hong Kong ha respinto la riforma elettorale scritta da Pechino. La seduta cruciale è finita nel caos, perché i deputati filo-cinesi, per un errore tattico, hanno lasciato l’aula poco prima del voto lasciando sola l’opposizione democratica, che comunque disponeva di una minoranza di blocco. Così, con 34 dei 70 parlamentari fuori, il risultato è stato 28 no alla legge e solo 8 a favore. Uno schiaffo per il potere centrale di Pechino e una sconfessione per il governo dell’ex colonia britannica.
La riforma dettata dalla Cina prevedeva il suffragio universale per l’elezione del Chief Executive, il governatore della città. Ma il partito comunista si era riservato il diritto di preselezionare i candidati. Una farsa, secondo il fronte democratico, che l’anno scorso aveva protestato occupando per tre mesi le strade della City. Ora la bocciatura della legge significa che i democratici hanno ottenuto una vittoria morale, ma che Hong Kong non avrà il suffragio universale, anche se sotto tutela di Pechino.
Una situazione a dir poco strana, con il governo di Xi Jinping che propagandava la grande novità del suffragio universale (sconosciuto in Cina) e l’opposizione di Hong Kong che la rifiutava come «pseudo-democrazia».
Con questo stop al piano cinese, nel 2017 il Chief Executive sarà scelto nuovamente da un comitato di 1200 notabili legati al partito comunista. «Non è il risultato che avremmo voluto», ha detto a Pechino il portavoce del ministero degli Esteri. L’agenzia Xinhua recrimina che durante i 155 anni di dominio coloniale britannico la gente di Hong Kong non aveva mai avuto l’opportunità di votare per il governatore (un britannico nominato da Londra). «Hong Kong era a un passo dal principio un uomo un voto e non l’ha colto», dice Pechino.
I democratici sono soddisfatti di aver umiliato la Cina rifiutando la sua «finta concessione», ma con il movimento studentesco che ha perso slancio, il rischio è che per anni la situazione resti bloccata. Pechino non è disposta a fare concessioni oltre il suffragio universale pilotato verso candidati allineati. I ragazzi che avevano occupato la City e ieri, poco numerosi, erano sparpagliati sotto il palazzo dell’Assemblea dopo il voto, sorridevano perché sono convinti che il tempo sia dalla loro parte. Ma il tempo, in Cina, può essere immensamente lungo.