venerdì 19 giugno 2015

Corriere 19.6.15
Il vino e l’eros passioni dei Greci coltivate con senso della misura
di Eva Cantarella


In Grecia il simposio era la riunione di un gruppo di cittadini che trascorrevano la serata mangiando, ascoltando poesie liriche, assistendo a spettacoli di danza e di acrobati, ma soprattutto bevendo. Come dimostra il nome simposio (da syn pinein , bere insieme) al centro non stava la condivisione del cibo, ma quella del vino, che si gustava al termine della cena, quando aveva inizio una conversazione che, come tutti gli altri momenti del simposio, era regolata da norme minuziose.
Il simposio infatti era un rito, una cerimonia composta di atti programmati prima del suo inizio, che oltre al valore sociale e culturale aveva anche una dimensione religiosa, immediatamente svelata dalla libagione iniziale agli dei, ai quali veniva offerto un assaggio del vino che sarebbe stato poi condiviso dagli invitati.
Ciò premesso, vediamo come si preparava e si svolgeva il simposio: il primo passo era un invito, che indicava il luogo dove si sarebbe svolto e la ragione per cui veniva convocato. Arrivati il giorno e l’ora fissata, gli invitati giungevano nel luogo convenuto e venivano introdotti in un locale apposito, detto triclinio, dove si trovavano dei letti (in greco kline ) predisposti lungo tre pareti, su ciascuno dei quali si accomodavano tre persone (donde il nome triclinio, che passò a indicare oltre al letto anche la stanza in cui si cenava). Ad Atene si cenava stando sdraiati, tutti in direzione del centro della stanza (in modo da consentire a tutti la vista degli altri convitati) stando appoggiati sul lato sinistro del corpo, con il gomito sinistro appoggiato su un cuscino.
Quando tutti gli ospiti erano arrivati, si procedeva alla nomina del simposiarca, al quale, oltre al compito di fissare i divertimenti e i giochi della serata, spettava quello più importante di stabilire il numero delle coppe da bere e le proporzioni della mescolanza tra vino e acqua. I Greci, infatti, non bevevano mai vino puro. Il loro vino era molto alcolico, a causa della vendemmia tardiva. Bere vino puro, dunque, portava molto facilmente all’ubriachezza, che i Greci ritenevano indegna di un uomo civilizzato. Solo i barbari bevevano fino a ubriacasi, da cui l’espressione popolare «bere alla scita», come gli Sciti, vale a dire come dei barbari. Infatti il racconto di una prima grande ubriacatura si trova nell’Odissea, e chi si ubriaca è il Ciclope, il simbolo stesso dell’inciviltà.
Nonostante l’orrore per l’ubriachezza, i Greci consideravano il vino un dono divino, fatto ai mortali da Dioniso. Le proporzioni tra vino e acqua variavano a seconda del rapporto tra una saggia lucidità (e dunque saggezza) e la dolce follia di una ebbrezza controllabile, che si intendeva raggiungere, in quella determinata occasione, secondo le indicazioni del simposiarca.
Ma c’è ancora qualcosa da ricordare sul vino, il suo legame con l’aspetto erotico del simposio. Uno dei giochi che venivano fatti era quello del cottabo, che consisteva non nel bere, ma nel lanciar vino dalla coppa, tenuta abilmente con le dita, verso un bersaglio, in genere un oggetto in bilico, che se colpito cadeva, o anche delle barchette che galleggiavano su un piccolo specchio d’acqua, che il lancio doveva affondare.
Prima di lanciare il vino, chi lo faceva dedicava il gesto a qualcuno (una donna o un ragazzo). Accanto ai maschi adulti, infatti, nella sala del simposio erano presenti, tra le persone che rallegravano l’atmosfera, anche alcune donne (etere, vale a dire prostitute) e i paides kaloi , i bei ragazzi che i Greci come ben noto corteggiavano e amavano. E chi lanciava il cottabo dedicava il lancio a uno di loro: «Questo lancio è per te», diceva, in una specie di dichiarazione d’amore, anche se magari valida solo per una sera, che rivela chiaramente l’aspetto anche erotico del simposio.
Nel corso del simposio, dunque, si sperimentavano i diversi piaceri della vita, imparando quella misura che era la regola di vita dei Greci. La mescolanza del vino e dell’acqua, che consentiva di non superarla, era una specie di sperimentazione sociale della morale dei Greci che non prevedeva né un ideale di ascesi, né uno di frustrazione. Realizzando l’ideale dell’equilibrio e della misura, il simposio era strumento dell’educazione civica dei Greci.