venerdì 19 giugno 2015

Corriere 19.6.15
Dylann il selvaggio ragazzo taciturno che voleva essere un ribelle sudista
di Guido Olimpio


WASHINGTON Dylann il selvaggio ha pensato di essere un ribelle sudista. Un irriducibile guerrigliero, convinto che l’America sia finita in mano ai «neri», quelli che «stuprano le nostre donne». Idee estreme in una testa confusa dalla droga. Sin dai tempi del liceo ci ha dato dentro, come raccontano gli amici della scuola. «Era un po’ strano, si imbottiva di roba e faceva battute razziste - ha ricordato - solo che pensavamo fosse solo uno scherzo».
Forse, allora, lo era uno scherzo. O magari era un modo di mostrare qualcosa, tra simboli confederati da ostentare sulla targa dell’auto, magliette con le bandiere della Rhodesia e del Sud Africa dell’apartheid e atteggiamenti sfrontati. Con il tempo però è diventato altro e lo ha trasformato in uno sparatore di massa, protagonista dell’attacco contro la chiesa afro-americana di Charleston.
La vita di Dylann Storm Roof, 21 anni, fino a ieri alle 21 di mercoledì era apparsa anonima, con qualche piccolo guaio. Da adolescente - dicono ancora i compagni intervistati dal Daily Beast - erano uno dei tanti, magari un po’ strano ma non un isolato. E non sembrano neppure esserci episodi di bullismo ai suoi danni o qualcosa che lo abbia ferito.
Anche perché, continuano i testimoni, in quelle classi molti erano come lui. Dunque tutti sulla stessa linea in liceo dalla composizione razziale mista. Però, è chiaro che qualcosa non andava e probabilmente il ricorso alle «pasticche» d’ogni colore e tipo non lo hanno aiutato.
Per Roof sono arrivati anche i guai con la Legge. Piccole cose. Non certo un criminale incallito o un ladro di strada. Il 28 febbraio la polizia lo ha fermato perché infastidiva con domande inopportune gli impiegati di un centro commerciale. Voleva sapere di turni, lavoro e mansioni. Quelli si sono insospettiti ed hanno chiamato una pattuglia.
Gli agenti, durante i controlli, gli hanno trovato delle sostanze per le quali non aveva la ricetta. Ed è scattato l’arresto. Quindi un secondo episodio più o meno simile un paio di mesi fa, seguito dal divieto di avvicinarsi alla zona dei negozi. Uno zio, tra i primi a riconoscerlo quando è stata diffusa la foto subito dopo l’attentato, lo ha definito «taciturno, introverso» ma non pericoloso. Sorpreso anche l’avvocato. E invece Roof stava covando qualcosa. O aspettava solo il momento opportuno.
In aprile il padre, incosciente e inconsapevole, gli ha regalato per il compleanno una pistola calibro 45. Mica una scacciacani. Che Dylann il selvaggio si è portato dietro nel suo raid come un cavaliere bianco del Ku Klux Klan contro il tempio afro-americano nel cuore di Charleston. Ha eseguito la sua missione, ha falciato nove innocenti e ne ha risparmiati altri. Non per un segno di clemenza ma solo perché voleva dei testimoni in grado di trasmettere il suo messaggio. Semplice e chiaro: «Dovevo uccidere i neri. Dovevo farlo».