Corriere 18.6.15
Marino resiste
Il sindaco ai suoi: se vogliono la mia testa mi nominino ministro o mi ricandido.
di Ernesto Menicucci
ROMA «Non mi dimetto. Ma, se volete la mia testa, mi dovete nominare ministro». Il messaggio, chiaro, è del sindaco Ignazio Marino, affidato ai suoi interlocutori del Pd. Destinatario, naturalmente, Matteo Renzi, col quale ormai è in atto una vera «guerra fredda».
Il chirurgo, incatenato alla sua poltrona a palazzo Senatorio, resiste, rilancia, quasi minaccia. Lui, che si vanta di venire dalla società civile e dal mondo della ricerca, ora vorrebbe un ruolo se non da statista almeno da uomo di governo. «Sfiduciarmi? Solo il popolo lo può fare», ripete a tutti. Perché, dice ai suoi, «al ballottaggio ho corso solo col mio nome». E, nell’ entourage , ricordano che «il suo slogan era “Non è politica, è Roma”». Marino, in questo momento, ha in mente il «modello de Magistris», criticato dal Pd, ma in sella perché «nella legge sui sindaci non c’è la sfiducia dei palazzi». Marino, quindi, sfida Renzi. Intanto sulla exit strategy . Il sindaco (ma i suoi, ovviamente, smentiscono questa ricostruzione: «non ci sono trattative in atto») per lasciare il Campidoglio vuole un posto di responsabilità nel rimpasto che il premier potrebbe varare, con una delega sulla Sanità o sulle aree metropolitane. A «radio Parlamento», ieri, non si parlava d’altro. Marino, coi suoi interlocutori, ragiona: «Deve esserci una soluzione che mi faccia uscire a testa alta. Sono io ad aver cacciato i corrotti dal Campidoglio».
E se questo non avviene? Il sindaco, che finora non ha rilasciato dichiarazioni pubbliche («per non alimentare polemiche», dicono nel suo staff), potrebbe andare all’attacco del Pd e poi «ricandidarsi da solo». Con Renzi, anche ieri, nessun contatto. Ma, nei fatti, la risposta del sindaco alle frasi del premier sa di provocazione: una conferenza stampa sull’Ama (l’azienda dei rifiuti) e sul decoro. «Del resto — la spiegazione di Marino ai suoi — non lo ha detto il premier che mi devo occupare di cose concrete?». Al Nazareno, però, stanno lavorando per strappargli anche il vestito del «sindaco del fare, eletto dal popolo». Swg, infatti, istituto vicino al Pd, lancia un sondaggio su Roma: «Marino si deve dimettere? La sua giunta è coinvolta in Mafia Capitale? Cosa vi ha deluso di più in questi due anni?».
Non è l’unico grattacapo. In mattinata, Orfini dice: «Dopo la relazione di Gabrielli che dirà che non c’è bisogno dello scioglimento del Comune, faremo il salto di qualità nell’azione amministrativa». Il prefetto (che smentisce di aspirare «a ruoli politici») lo «gela»: «Non mi sono formato ancora nessun convincimento. La decisione finale spetta al ministro dell’Interno». Orfini fa dietrofront: «Mai detto che Gabrielli avesse già deciso. La mia è una valutazione politica». Tra i due, alla fine, una telefonata chiarificatrice.
Sul web , poi, infuria la bufera su Beppe Grillo, che in un tweet scrive: «Elezioni per Roma il prima possibile! Prima che la città venga sommersa dai topi, dalla spazzatura e dai clandestini». E l’accostamento scatena reazioni indignate. Dalla presidente della Camera Laura Boldrini («non è politica, è disprezzo») a Nichi Vendola («parole barbare»), da quelli del Pd («razzista, squallido») fino agli stessi simpatizzanti di M5S che, sempre via Internet, criticano Grillo: «Un attacco di CasaPoundite, una schifezza». Il leader, allora, corregge: «#MarinoDimettiti prima che Roma venga sommersa dai topi, dalla spazzatura e dai campi dei clandestini gestiti dalla mafia». Ma la «rete» non dimentica: «Troppo tardi, la frittata è fatta».