Corriere 18.6.15
Il bivio delle prossime elezioni per stabilire i rapporti di forza e le alleanze per l’Italicum
di Francesco Verderami
ROMA Milano, Torino, Bologna, Napoli «e forse anche Roma», come dice Renzi: con dieci milioni di cittadini alle urne e con un modello elettorale simile all’Italicum, le Comunali del 2016 saranno un banco di prova dei futuri schieramenti alle Politiche. Perché — come sottolinea il coordinatore di Ncd Quagliariello — «il sistema di alleanze alle elezioni amministrative non potrà che rispecchiare il modello di alleanze delle successive elezioni legislative».
Siccome un anno in politica equivale a un giorno, per Renzi Berlusconi e Alfano si avvicina quindi il momento della scelta. Il segretario del Pd dovrà decidere se dar seguito all’idea del «partito della Nazione», aprendosi a un rapporto organico con il centro, o volgersi a sinistra; allo stesso modo il leader di Ap dovrà scegliere se costruire un’intesa con il premier o contribuire alla ricostruzione di un asset di centrodestra; e anche il capo di Forza Italia dovrà optare tra la nascita di un nuovo fronte moderato o l’unione con la Lega di Salvini.
Si tratta di decisioni strategiche che per l’appuntamento del 2016 dovranno essere già delineate, a prescindere dalla data in cui si tornerà al voto per il Parlamento.
C’è un motivo se Renzi si è già portato avanti. Le Comunali — insieme al referendum sulle riforme — avranno un riflesso sul clima e sugli equilibri nel partito, in vista del congresso che si terrà nel 2017 e che dovrà sancire la definitiva vittoria del leader o il suo ridimensionamento. Perciò Renzi ha messo in discussione il meccanismo delle primarie per la selezione dei candidati: «I candidati vorrò sceglierli io», ha anticipato al suo gruppo dirigente. La scelta dei candidati, infatti, sarà frutto della scelta politica compiuta.
A parte Torino, dov’è scontato il bis di Fassino, il Pd dovrà decidere su chi puntare a Milano, a Napoli e anche Bologna, dove non a caso il ministro centrista Galletti si propone. Roma starà dentro questa logica, sebbene nulla sia deciso. Tuttavia qualcosa si muove nell’area della maggioranza, lo si intuisce dal modo in cui Alfano ha chiesto tempo ai suoi gruppi parlamentari, sospendendo il momento della scelta «fino al referendum sulle riforme» e spiegando però che «al momento non sono possibili costruzioni con un centrodestra a trazione leghista, inaccettabile anche per un fatto di estetica politica». Il bivio per i centristi sembra invece approssimarsi, se è vero che il titolare dell’Interno — sostenitore delle liste civiche alle ultime Amministrative — ha preso come punto di riferimento «il 3,7% di Forza Italia a Venezia» per definire «concluso il ventennio berlusconiano», dal quale «si uscirà dalla parte dell’estremismo o dal versante moderato».
In gioco c’è quella fetta di opinione pubblica che alle recenti Comunali ha mostrato di essere vincente. Come dice l’ex ministro azzurro Matteoli, «nonostante nei ballottaggi Forza Italia non sia stata determinante, l’elettorato di centrodestra c’è ancora, eccome. Per questo dobbiamo ristrutturare il partito». Resta da capire quale strada prenderà Berlusconi, che reputa «imprenscindibile» il rapporto con la Lega, ma è in disputa con Salvini per quello che la forzista Bergamini definisce «l’albero motore dell’alleanza». Il capo del Carroccio lo reclama, vuole cioè il primato, rilancia sempre (guarda caso) su Milano e — per chiudere ogni spazio all’alleato — vincola l’accordo all’esclusione di Alfano.
Berlusconi invece cerca formalmente di tenere aperta l’opzione centrista, che passa anche da una ripresa del dialogo in Parlamento. Si vedrà se cambierà (di nuovo) linea sulle riforme. Intanto ha cambiato verso sull’immigrazione. Ieri la Camera ha approvato una risoluzione del Comitato di Schengen, presieduto dall’azzurra Ravetto, per chiedere la modifica del Trattato di Dublino: la Lega si è opposta, Forza Italia ha votato con la maggioranza. È solo un caso o è un segnale?