lunedì 15 giugno 2015

Corriere 15.6.15
Il manicomio per Pound voluto da Saul Bellow
di Pierluigi Battista


È difficile dover dar torto a uno scrittore tra i più ammirabili come Saul Bellow, uno dei giganti della letteratura del Novecento. Ma Bellow sulla sorte di Ezra Pound sbagliò. Sbagliò a maltrattare William Faulkner che lo voleva coinvolgere in un’iniziativa insieme a John Steinbeck per liberare il poeta Ezra Pound dalla lunga detenzione in un manicomio a causa delle sue idee politiche, insomma del suo fascismo. In una delle «Letters» pubblicate dall’editore Viking e una cui raccolta è stata resa nota in Italia da Antonio Monda per La Repubblica, Bellow nel 1956 sostenne invece che Pound meritava il trattamento disumano riservatogli nel manicomio St. Elisabeth a Washington. C’è chi sostiene che fu il male minore. Che se Pound non fosse stato marchiato come infermo di mente, la condanna a morte per alto tradimento sarebbe stata inevitabile. Che i suoi discorsi a favore della Rsi (Repubblica sociale italiana) mussoliniana erano un atto di esplicito sabotaggio che gli Stati Uniti, in guerra contro il fascismo e il nazismo, non avrebbero potuto non punire. Contrastando l’iniziativa di Faulkner, Bellow scriveva che Pound aveva predicato «odio e sangue», anche contro gli ebrei. Ma quella predicazione valeva tredici anni di un uomo considerato pazzo e sottoposto a terapie medico-psichiatriche che di frequente oltrepassavano la soglia della crudeltà? Sosteneva Bellow: fosse stato un cittadino americano qualunque e non un poeta, nessuno si sarebbe accorto di niente.
   Ma invece furono gli Stati Uniti a fare di Pound il bersaglio che avrebbe dovuto calamitare il disgusto pubblico per uno che era stato dall’altra parte e che aveva detto e scritto cose incompatibili con la (sacrosanta) crociata antinazista. Volevano ammonire, dare un esempio, colpire chi aveva fiancheggiato con le sue idee il nemico che incarnava il Male assoluto. Ma la psichiatrizzazione del dissenso politico, anche del più inaccettabile, è una caratteristica dei sistemi totalitari, non di una grande democrazia. Trattare come un pazzo pericoloso da rinchiudere uno che si era messo dalla parte di Mussolini è una pratica ingiusta, una vendetta, una ritorsione spietata. Era questo il concetto che i Faulkner, gli Steinbeck, gli Hemingway e in Italia Vanni Scheiwiller volevano sottolineare. Non il privilegio per un poeta, ma la denuncia di una mostruosità compiuta su un uomo trattato da pazzo solo per le parole spese lungo gli anni nelle sue poesie e per alcuni discorsi radiofonici. Tredici anni in un manicomio.