Repubblica 8.5.15
“Il mio bambino all’estero a spese della sanità italiana” La nuova via all’eterologa
Nel nostro Paese, nonostante ora sia permessa, non decolla
Solo cento i trattamenti fatti, così le coppie tornano a volare altrove, rimborsati grazie a una direttiva europea
di Michele Bocci
FORSE non se ne rende nemmeno conto del tutto e comunque adesso che il bambino tanto atteso è nato ha ben altro a cui pensare. Eppure Vittoria ha aperto una strada. Suo figlio ha un mese ed è venuto al mondo grazie alla fecondazione eterologa, fatta in Spagna ma a spese del sistema sanitario italiano e in particolare dell’Emilia Romagna, la sua Regione. Merito della sentenza della Corte Costituzionale, della sua cocciutaggine, delle nuove regole sulla circolazione dei pazienti in Europa e soprattutto del fatto che in Italia l’eterologa praticamente non è ancora partita. Ma visto che la nostra sanità adesso è obbligata ad assicurarla, le coppie possono chiedere che vengano rimborsati i trattamenti fatti all’estero.
Vittoria c’è riuscita. «Quando nel maggio dell’anno scorso ho chiesto informazioni per fare il trattamento — racconta — mi hanno prospettato mesi di attesa. Ma io non potevo aspettare, avevo quasi quarant’anni. Anche un anno di ritardo avrebbe ridotto le possibilità di successo. Così ho deciso di tornare in Spagna». Vittoria abita con il compagno in Romagna. Cerca un figlio dal 2011, e a causa di una malattia può averlo solo con la l’eterologa. È volata varie volte verso Madrid o Barcellona con la speranza di fare un figlio. «Ho perso il conto dei tentativi e dei soldi che abbiamo speso senza risultato, forse 40 mila euro ma anche di più». Poi nell’aprile del 2014 è arrivata la sentenza della Corte Costituzionale che ha cancellato il divieto alla fecondazione con i gameti di una persona esterna alla coppia. «Finalmente è stato riconosciuto il mio diritto a fare il trattamento in Italia — racconta Vittoria — cosa che per me significava risparmiare e soprattutto non dover affrontare spostamenti stressanti lontano da casa. Ho cercato un posto nella mia regione, due centri pubblici mi hanno detto che ancora non erano pronti, che ci sarebbero voluti dei mesi. Ero nervosa in quei giorni, vedevo che negli ospedali non si muoveva niente ma contemporaneamente leggevo interviste in cui si parlava di linee guida, protocolli, rapido avvio del servizio. Mi è sembrata una grande ingiustizia. Poi ho parlato con la dottoressa Tiziana Bartolotti del centro di pma Artebios-Cecos di Lugo di Romagna e ci è venuta un’idea: andare in Spagna e chiedere al sistema sanitario emiliano di pagare la prestazione ».
Ormai è in vigore da tempo una direttiva europea che sancisce la libera circolazione dei pazienti. Ci si può spostare per farsi curare a spese della Asl se nel proprio Paese le prestazioni non vengono assicurate o le attese sono troppo lunghe. Sembra scritta apposta per l’eterologa in Italia, che si trova in una situazione disperante. A un anno dalla sentenza sono stati fatti in tutto un centinaio di trattamenti, il pubblico si è mosso solo in due regioni (Toscana ed Emilia) ma senza grandi numeri. Perciò al momento quello che hanno da offrire gli ospedali sono posti in liste di attesa che non si sa quando saranno smaltite. La situazione non è molto diversa nel privato. E allora le coppie che vanno all’estero possono chiedere, in base all’atto europeo, il rimborso di quanto hanno speso. «A luglio 2014 sono andata in Spagna — dice sempre Vittoria — e subito dopo ho presentato la domanda di rimborso alla Asl. Me l’hanno respinta e con il mio compagno nel giro di due settimane abbiamo fatto un ricorso in autotutela, senza l’aiuto di un avvocato. Abbiamo dimostrato tra l’altro che il centro a cui ci siamo rivolti rispettava tutte le regole europee, e alla fine è arrivato il via libera. La Asl ci ha restituito circa 4mila euro, cioè l’80% della spesa. La copertura non è stata totale perché la struttura dove ho fatto l’eterologa è privata». Il trattamento ha funzionato, Vittoria è rimasta incinta e un mese fa il suo bimbo è nato. «Se avessi aspettato i tempi delle strutture italiane forse non avrei mai avuto un figlio. Dopo un anno sarei ancora qui ad aspettare. E invece oggi sono mamma. Riguardo ai soldi, non è importante il rimborso ma il fatto di aver visto riconosciuto un diritto, aver vinto una piccola battaglia ». Altri in questi mesi la stanno combattendo e se le Regioni non si muovono con i loro ospedali vedranno aumentare il numero di rimborsi da pagare a chi ha scelto centri esteri.