giovedì 7 maggio 2015

Repubblica 7.5.15
L’amaca. Caro Pippo Civati
di Michele Serra


CARO Pippo Civati, è da una vita che preferisco quelli come te, gli irrequieti, i curiosi, i movimentisti, li sento più affini, più liberi, perfino più convincenti, ma alla fine butto il mio voto, per sicurezza, nel calderone più grande a disposizione, quello del partitone di massa. Per fare numero, per cercare di vincere (ogni tanto) oppure di perdere un po’ meno (quasi sempre). Non mi pongo come esempio, magari sono speculare a Montanelli quando, da destra, invitava a votare Dc turandosi il naso (certi giorni bisognerebbe averne due, di nasi da turare, per votare Pd), forse sono uno che ha imparato ad accettare e perfino a rispettare la mediocrità della democrazia. Ma sono così come ti ho detto, ormai mi conosco, voglio bene a Vendola ma l’ho votato una volta sola, mi piaceva lo Psiup ma votavo Pci, leggevo con devozione Luigi Pintor (il più grande giornalista di sinistra di tutti i tempi) ma votavo Pci, lavoravo con Grillo ma votavo Berlinguer, dirigevo Cuore ma votavo Occhetto, non c’è niente da fare, forse è un morbo, forse un vizio, il mio amico di penna Vittorio mi sgrida, «sei il tipico italiano di mezzo, incapace di ribellarsi al presente».
Se mi permetto di scriverti queste due righe è perché nel caso tu dovessi fare un nuovo partito non sono quelli come te che dovrai convincere, ma quelli come me. Che sono milioni. Preferiamo rassegnarci in compagnia che ribellarci da soli. Spiegaci come si fa a ribellarsi in molti, rimanendo popolo, rimanendo massa, e giuro che ti voto.