domenica 31 maggio 2015

Repubblica 31.5.15
Salute da record solo i giapponesi battono gli italiani per longevità
Dal 1990 a oggi guadagnati sei anni le femmine arrivano a 85, i maschi a 80 “Migliore la sopravvivenza alle malattie”
di Silvia Bencivelli


ITALIANI: sani, longevi, cioè privilegiati. Ce lo dicono i dati sulla salute globale pubblicati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità nella sua World Health Statistics 2015: centosessanta pagine di numeri che fotografano un’umanità sempre più sana, in cui però c’è qualcuno che è decisamente più sano degli altri. Cioè noi.
L’Italia conquista quest’anno il secondo posto al mondo per speranza media di vita alla nascita, con un guadagno di ben sei anni dal 1990 a oggi. Significa che chi nasce oggi in Italia può ragionevolmente sperare di vivere fino a 83 anni, contro gli 84 di un piccolo giapponese, medaglia d’oro di longevità. E soprattutto contro i 77 di un italiano nato quindici anni prima. Tra i dati interessanti, c’è poi da sottolineare che è diminuita la differenza tra maschi e femmine, perché mentre oggi una bambina ha una speranza di 85 anni e un bambino di 80 (e 83 è un dato medio), quindici anni fa la forchetta era di un anno più larga, con le femminucce che potevano sperare negli 80 anni e i maschietti nei 74.
«Non è solo un buon dato per la sanità italiana — spiega Giuseppe Costa, epidemiologo dell’Università di Torino — ma per la società tutta. Ed è un buon dato che non giunge inatteso». Noi italiani siamo sempre stati tra i primi della classe, nelle statistiche su salute e longevità. Soprattutto perché abbiamo un rischio vascolare mediamente più basso degli altri e abitudini alimentari ancora decenti, più o meno su tutte le fasce della popolazione. Come noi, questo vale per molti europei, in particolari quelli dell’Europa latina, come Spagna (con cui dividiamo il posto sul podio) e Francia (medaglia di bronzo). «Poi noi italiani abbiamo una lunga tradizione di servizio sanitario universalistico. E, come tanti paesi occidentali, abbiamo migliorato la sopravvivenza alle malattie cardio e cerebrovascolari e ai tumori, e ridotto la mortalità alla nascita. Per tutti, o quasi, i nostri cittadini ». Per di più, «noi abbiamo flussi di immigrati più bassi di altri paesi europei, e gli immigrati e i rifugiati hanno situazioni di salute peggiori delle nostre che pesano su queste statistiche». Infine, stiamo vedendo invecchiare fasce di popolazione nate nell’immediato secondo dopoguerra «che hanno vissuto in condizioni significativamente migliori di quelle dei propri genitori. Per cui si portano dietro un capitale di salute importante, fatto non solo di stili di vita ma anche di tecnologie (come il frigorifero) e di miglioramenti di condizioni ambientali, alimentari, di lavoro, che ne migliorano significativamente la sopravvivenza».
E il resto del mondo? Il resto del mondo benino. Anche su scala globale si osserva un aumento della speranza di vita media di sei anni, ma la distribuzione è tutt’altro che omogenea. Per esempio, vedendo il dato sulla speranza di vita alla nascita medio per la regione africana si notano ben ventisette anni di differenza rispetto a noi. Cioè: un bambino africano nato oggi ha ventisette anni in meno di speranza di vita rispetto al nostro di cui sopra.
Però complessivamente le cose migliorano. Il 2015 è l’ultimo anno per raggiungere gli obiettivi del millennio, quei target globali di salute che ci eravamo prefissati nel 2000 sotto il governo dell’Onu. E per alcuni di questi si può essere soddisfatti. Ci si aspetta, infatti, che entro la fine dell’anno si centrino gli obiettivi sul contenimento dell’epidemia da Hiv — Aids, sulla malaria e sulla tubercolosi. E aumenta anche il numero di persone che hanno accesso all’acqua potabile.
Abbiamo fatto meno passi avanti sulla malnutrizione infantile (calata solo del 40% su scala globale) e sulla mortalità neonatale nei paesi poveri. Cioè mentre in Italia e in tutti i paesi europei siamo passati da circa 6 del 1990 a 2, o addirittura a 1, nei paesi meno fortunati si continua a osservare una mortalità importante nei bambini sotto ai cinque anni per malattie prevenibili, come la polmonite e la diarrea, e un accesso alle terapie antibiotiche ancora limitato a un bambino su tre. Si è poi dimezzato il numero di donne morte per complicazioni durante gravidanza e parto. Ma è un dato medio, che non racconta di come in alcuni paesi più poveri sia cambiato poco o niente.