Repubblica 29.5.15
Dietro l’arte è sempre nascosta la matematica
Sono molti i pittori che dialogano con la geometria e i numeri
Ecco i segreti di questi rapporti
di Piergiorgio Odifreddi
NEL 1934 uno studente svedese diciannovenne di nome Oscar Reutersvärd si annoiava alle lezioni di latino, e per distrarsi incominciò a disegnare sui margini del libro di grammatica. Sperimentò con stelline regolari a varie punte, e un giorno si accorse che disponendo attorno alla stella di David a sei punte altrettanti cubi disegnati in assonometria otteneva uno strano disegno. Aggiunti altri tre cubi ai vertici completò la figura di un triangolo paradossale, con tre angoli retti, in conflitto con il venerabile teorema euclideo che la somma degli angoli di un triangolo è sempre pari a due retti.
Lungi dall’essere solo un antidoto contro la noia del latino, quelle distrazioni di Reutersvärd divennero la sua ossessione, e col tempo lo trasformarono in un raffinato artista che esplorò in maniera sistematica e creativa le possibilità delle figure paradossali. Quest’anno si celebra il centenario della sua nascita e la Svezia lo ricorda con affetto, dopo avergli dedicato già molti anni fa una serie di francobolli.
In altri paesi, compreso il nostro, Reutersvärd è invece misconosciuto. Anche perché era una persona seria, poco sensibile alle sirene della commercializzazione e della volgarizzazione dell’arte. Solo con grande riluttanza si convinse a colorare i propri disegni, perché temeva che ciò che si guadagnava in estetica si perdesse in essenzialità. E non accettò mai il compromesso di abbandonare il disegno geometrico in favore di quello figurativo per conquistare un pubblico più vasto, e dunque meno raffinato.
L’esatto contrario di Maurits Cornelis Escher, che delle figure paradossali di Reutersvärd ha fatto un uso sistematico e furbesco, arrivando a produrre opere di grande successo che oggi imperversano su poster, magliette e gadget di ogni genere. In particolare Cascata ( 1961), che dei triangoli impossibili di Reutersvärd usa ben tre combinati insieme, a costruire una altrettanto impossibile cascata che sale e scende mantenendosi in piano. Così come salgono e scendono in piano i monaci di Ascendere e discendere ( 1960). O gli alieni di Relatività ( 1953), che di nuovo usa il triangolo impossibile.
In realtà Escher non rubò le idee a Reutersvärd, che non conosceva, ma le prese in prestito dal matematico Roger Penrose, che le aveva riscoperte indipendentemente insieme a suo padre negli anni ’50. Escher incontrò Penrose e altri matematici al Congresso Internazionale di Amsterdam del 1954, e da quel momento la sua vita e la sua arte cambiarono. Egli scoprì infatti i fondamenti scientifici delle ricerche che aveva intrapreso da solo e perseguito da dilettante per decenni, e fu indirizzato su terreni a lui sconosciuti e per lui fecondi.
Ad esempio, produsse una serie di quattro Limiti del cerchio che illustrano mirabilmente il mondo iperbolico della geometria non euclidea, contrapposto a quello del triangolo impossibile. Mentre infatti quest’ultimo ha somma angolare maggiore di 180 gradi, come avviene anche per tutti i triangoli nella geometria sferica, nel mondo iperbolico i triangoli hanno tutti somma angolare minore di 180 gradi.
Altri oggetti matematici che Escher studiò e illustrò sono i solidi, più o meno regolari. Ma il campione mondiale della rappresentazione artistica di questi oggetti è stato Lucio Saffaro: un artista bolognese scomparso una ventina d’anni fa, e più affine a Reutersvärd che a Escher. Come il primo, infatti, anch’esso mantenne la sua arte su binari coerentemente indirizzati alla ricerca intellettuale, senza mai deragliare sugli ostacoli della commerciabilità nei quali era inciampato il secondo.
Non solo artisti matematici esoterici come Reutersvärd e Saffaro, ma anche uno essoterico come Escher, difficilmente appaiono nei testi di storia dell’arte, perché i critici e gli storici tradizionali sanno di non capire le loro opere ed evitano di parlarne. Ma spesso non capiscono neppure le opere di altri artisti più convenzionali dei quali parlano, da Piero della Francesca a Salvador Dalí, benché in questi casi non sappiano di non capirle. Perché spesso gli artisti, anche i più insospettabili, nascondono molta sostanza matematica dietro le apparenze estetiche. Per rendere loro completa giustizia è dunque necessario uno sguardo ibrido che sia in grado di cogliere allo stesso tempo Arte e matematica ( Dedalo), come recita appunto il titolo dell’ultimo libro di Bruno d’Amore: un uomo uno e trino, come a volte sono quelli che coniugano tre persone in un’unica sostanza. Nel suo caso le tre persone sono il ricercatore matematico, il critico artistico e lo scrittore divulgativo, che hanno collaborato armoniosamente fra loro per produrre un’opera allietata da centinaia di illustrazioni a colori: una vera e propria storia dell’arte universale, osservata da un singolare e privilegiato punto di vista.
Arte e matematica inizia dalla preistoria e termina ai nostri giorni. Contiene interi capitoli dedicati a oggetti artistici quali le spirali, le eliche, i labirinti e i fregi. Discute di tecniche decorative e pit- toriche quali la simmetria, le piastrellazioni, la prospettiva e l’anamorfosi. Esibisce opere che vanno dalle incisioni delle grotte di Altamira alle tele sgocciolate di Jackson Pollock. E condisce il tutto con discussioni e divagazioni matematiche che vanno dal numero aureo ai frattali, passando per i quadrati magici e la teoria dei nodi.
Ma soprattutto trasmette l’entusiasmo per due discipline apparentemente così diverse e distanti fra loro. Un entusiasmo che ha portato l’autore stesso a impegnarsi in prima persona nell’organizzazione di mostre e convegni di arte e matematica, e a interagire direttamente con artisti italiani e stranieri: primi fra tutti Saffaro e Reutersvärd. Di quest’ultimo D’Amore è addirittura il massimo collezionista e possiede centinaia di opere, alcune delle quali dedicate a lui personalmente, che ha mostrato in esibizioni da Roma a Bogotà.
Il magma di immagini, colori e parole che fluisce per le cinquecento fitte pagine del libro percorre soprattutto alcune strade maestre. La geometria anzitutto, per motivi istituzionali: come essa si interessa di forme razionalmente, infatti, l’arte lo fa esteticamente, in procedimenti a volte paralleli e altre convergenti. E poi l’aritmetica, in maniera tangenziale: in un capitolo su I segni della matematica come oggetto d’arte D’Amore mostra come i pittori abbiano reagito al fascino delle cifre, da Jasper Johns e Robert Indiana ai nostri straordinari Tobia Ravà e Ugo Nespolo.
Sorprendentemente, infine, anche la logica è uno dei percorsi dell’arte. L’esempio archetipico è il famoso Ceci n’est pas un pipe di René Magritte (1928), il cui titolo mette in guardia dal confondere una pipa disegnata con una vera pipa, e illustra efficacemente in pratica la classica distinzione teorica effettuata da Gottlob Frege in Senso e significato ( 1892). E D’Amore dedica un intero capitolo sui Linguaggi dell’arte ai lavori di logica artistica, o di arte logica, di Magritte.
Il tutto, a conferma del detto di Rudyard Kipling: What should they know of England who only England know? Che, tradotto per i nostri bisogni, significa: cosa possono sapere dell’arte coloro che conoscono solo l’arte (e non anche la matematica)?