giovedì 28 maggio 2015

Repubblica 28.5.15
“Cambiamo ora le regole del mercato”
Premio Nobel 2001, oggi consigliere economico di Hillary Clinton, Joseph Stiglitz è il guru della lotta alle disuguaglianze
Che si risolvono anche ripristinando la mobilità
di Eugenio Occorsio


Per un workshop intitolato “La mobilità sociale” non poteva esserci keynote speaker, come dicono nei congressi americani, cioè il personaggio autorevole che dà il tono a tutti i lavori, di Joseph Stiglitz. Economista della Columbia University, classe 1943, premio Nobel nel 2001 proprio per i suoi studi sull’ascensore sociale e sui guasti di esso, è diventato negli ultimi anni il guru della lotta alle disuguaglianze, problema globale alla cui soluzione è demandato il ripristino di un adeguato livello di mobilità. «In America l’amministratore delegato di un’azienda guadagna 300 volte la media dei suoi dipendenti, 40 anni fa questo rapporto era di uno a 30», ripete Stiglitz, che a Trento terrà una conferenza nel giorno dell’apertura, domani, introdotto da Tito Boeri, direttore scientifico del festival.
Stiglitz è stato nominato consigliere economico di Hillary Clinton, nomina che dà il marchio alla campagna democratica per le presidenziali 2016 che sarà appunto la lotta alla disuguaglianze e il rilancio della mobilità. Ha appena pubblicato un blueprint, un manifesto sulle priorità che la candidata farà valere in economia, edito dal Roosevelt Institute, think-tank democratico di Washington di cui Stiglitz è capo economista. Il punto di partenza è ambizioso: “Riscrivere le regole che governano da 35 anni l’economia di mercato, il che avrà il non secondario effetto di ridurre le disuguaglianze. Sono fallite le idee che negli anni ‘80 erano di moda, che i mercati funzionassero sempre e si aggiustassero da sé”.
Stiglitz era stato consigliere di Bill Clinton alla Casa Bianca negli anni ‘90 ma aveva abbandonato anzitempo l’incarico accusando il presidente-marito di essere troppo asservito alle regole reaganiane del mercato onnipotente, e anzi di averle portate all’esasperazione. “Tutto è cominciato con Reagan”, scrive nel libro The turning point, appunto il momento della svolta, “ma si è consolidato con la presidenza democratica. Io c’ero quando venivano presi provvedimenti sbagliati, e posso consentire che alcuni erano creati in buona fede. Ma sono stati fatti errori gravissimi: ora è inutile stare a rivangare sul passato, siamo qui e adoperiamoci per cambiare”.
I fatti della storia gli hanno dato ragione vista la crisi che nel 2008 ha colpito la finanza americana, travolta - per comune interpretazione degli economisti di ogni corrente - da un eccesso di deregulation. E quindi ci riprova con la moglie-candidata, portavoce di idee molto più progressiste di Bill e anche di Obama. Non sarà una partita facile. «C’è da cambiare la mentalità delle persone», ha ammesso Stiglitz presentando il rapporto. «Come si può introdurre una legge che forzi le corporation e essere meno focalizzate sul bilancio trimestrale e a indurle a pensare sul medio termine, motivare adeguatamente e far crescere la gente all’interno, impostare pianificazioni di ampio respiro? Non c’è norma che possa farlo, l’unica è far valere la volontà politica e tenere la pressione sempre forte».
A dimostrare che è in sintonia con il suo economista, Hillary Clinton ha tenuto un discorso accanendosi contro lo short-termism che domina l’economia americana, dicendosi sconcertata quando vede che ingenti risorse finanziarie sono utilizzate per fare riacquisti di azioni con il solo risultato di alzare il valore di Borsa e quindi i bonus dei dirigenti, anziché per la formazione dei dipendenti e il miglioramento delle comunità di vita e di lavoro. Dove invece si può intervenire per legge, e anche di questo si è parlato nella presentazione al Roosevelt (e si parlerà a Trento) è sull’aspetto fiscale: «Occorre tassare progressivamente molto di più, in America ma anche in Europa, i redditi più alti, le proprietà e soprattutto le plusvalenze finanziarie», è la posizione di Stiglitz. «Deve crescere la tassazione sulla ricchezza e sui capitali e diminuire quel- la sul lavoro. Un’economia che funziona non solo crea posti di lavoro, ma si adopera per ridurre le disuguaglianze di reddito e favorire la crescita sociale».
Un altro punto nodale della teoria di Stiglitz, riassunto in diversi libri come Making globalization work , è lo studio degli effetti perversi della globalizzazione. Il professore è molto critico verso la politica attuale del suo Paese. «Adesso sono in discussione due trattati di libero scambio, uno transatlantico e uno transpacifico», ha spiegato qualche giorno fa ai suoi studenti. «Ma la definizione è sbagliata: li chiamerei “trattati di scambio guidato” perché sono fatti su misura per servire gli interessi delle grandi multinazionali. Né sono partnership fra uguali: nei fatti sono gli Stati Uniti a dettare le regole. Per fortuna, i potenziali firmatari oppongono fiere resistenze».