martedì 26 maggio 2015

Repubblica 26.5.15
Il dopo Irlanda dei vescovi: “Il vincolo tra gay valore per la Chiesa”
Porporati e teologi riuniti a porte chiuse all’Università Gregoriana di Roma “Riconoscere le coppie se sono stabili”
di Marco Ansaldo


“Se tra due persone dello stesso sesso c’è una relazione forte, non è un matrimonio, ma è giusto che conti
La vita da single di noi sacerdoti rende molto complicato parlare della coppia ai fedeli
Magari in Vaticano ci fosse stata una simile discussione Non c’è ancora la libertà che oggi abbiamo avuto qui”

ROMA «Cosa possiamo dire a una gioventù che non si ritrova negli orientamenti della Chiesa? Come dobbiamo impostare una pratica dell’eros? Qui ci troviamo di fronte a problemi con cui fare i conti, altrimenti la gente finirà per allontanarsi».
L’allarme pacato lanciato a metà lavori da un sacerdote e docente scuote i tavoli messi a rettangolo fra i 50 convenuti all’Università Gregoriana di Roma, nella giornata di studio organizzata per il Sinodo dei vescovi previsto in autunno. “Matrimonio e divorzio”, “Sessualità come espressione dell’amore” sono i titoli su cui si discute. Temi di un’attualità bruciante, dopo il sì del referendum in Irlanda sulle nozze gay. Ci sono molti big della Chiesa, come il cardinale Reinhard Marx, arcivescovo di Monaco di Baviera e capo dei vescovi tedeschi, l’arcivescovo di Marsiglia Georges Pontier che è presidente della Conferenza episcopale francese, quello di Havre, Brunin, il vescovo di Dresda, Koch, quello della Bassa Sassonia, Bode, lo svizzero Gmur, il segretario generale dei vescovi tedeschi Langendorfer, teologi emeriti e professori universitari come il presidente della Comunità di Sant’Egidio, Marco Impagliazzo. Tutti ospitati dal vice rettore della Gregoriana, padre Hans Zollner, e vincolati a non attribuire la paternità delle dichiarazioni agli intervenuti. Lavori a porte chiuse, a cui è stata invitata a partecipare, quale unico media italiano, La Repubblica.
E la discussione è stata ampia e molto libera. Sfiorando anche l’argomento delle unioni gay richiamato dal voto irlandese. «La questione non è tema del Sinodo — precisa un sacerdote e teologo tedesco — ma è comunque materia culturale. Se fra due persone dello stesso sesso c’è una relazione forte, che porta a un riconoscimento, questo deve diventare un vincolo anche per la Chiesa». Aggiunge poi: «Personalmente dico che questa unione dovrebbe essere riconosciuta, anche se non come matrimonio. Se la Chiesa non la riconosce, ciò non significa una discriminazione, ma che si intende riaffermare il principio della famiglia costituita da un uomo e una donna».
Una posizione innovativa. Nessuno qui si oppone. Il confronto, anzi, si allarga. «È chiaro — afferma un monsignore francese — che stiamo vivendo una nuova realtà pastorale». E, a proposito dei divorziati risposati, continua una docente: «Con l’allungarsi della vita anche la frontiera della fedeltà si sposta. Ma la disciplina della Chiesa oggi è lungi dall’essere immobile. Dopo un fallimento, un abbandono, ci si può impegnare in una nuova vita con un’altra persona. Questi problemi ci arrivano da esponenti impegnati anche nel magistero, oltre che dai fedeli». Applausi, e si va oltre.
Commenta un vescovo tedesco: «I dogmatici dicono che l’insegnamento della Chiesa è fisso. Invece uno sviluppo esiste. E abbiamo bisogno di uno sviluppo sulla sessualità. Anche se non dobbiamo fissarci solo su questa ». Ammette un presbitero che è anche professore: «Essendo la nostra una vita da single, il celibato di noi preti rende difficile parlare agli altri delle loro vite di coppia».
Nessuno qui usa la parola «parresìa », franchezza, termine chiave del pontificato di Francesco. Ma la discussione alla tavola della Gregoriana si svolge tutta alla sua ombra. Un sacerdote e docente svizzero, che fa un intervento spaccato al secondo seguendo da buon elvetico il proprio orologio, parla senza indugi di «carezze, baci, “coito” nel senso del “venire insieme”, co-ire», come di «quel che accompagna le luci e le ombre non coscienti delle pulsioni e del desiderio». Un suo collega: «L’importanza dello stimolo sessuale rappresenta la base per un rapporto duraturo». Si cita Freud. Viene richiamato Fromm. «La mancanza della sessualità — si aggiunge — può accomunarsi alla fame, alla sete. La domanda che la caratterizza è: “Hai voglia di fare sesso?”. Ma questo non significa desiderare l’altro, se l’altro non vuole. La domanda dovrebbe essere: “Tu mi desideri?”. Ecco allora come il desiderio sessuale dell’altro può unirsi all’amore».
Il dialogo è serrato e tocca i sacramenti, il battesimo, l’argomento delicato della comunione ai divorziati risposati. «Come possiamo negarla, come fosse una punizione, alle persone che hanno fallito e trovato un nuovo partner con cui ricominciare una vita? ». C’è poi spazio per il dolore dei figli di chi si è separato: «Nelle confessioni ascoltiamo molto i racconti degli adolescenti che si autoaccusano del divorzio dei genitori. Ma, a volte, la separazione è anche un bene».
Parole che sembrano rivoluzionarie se pronunciate da uomini in clergyman. Per un’iniziativa fatta nel cuore di Roma dalle Conferenze episcopali di Francia, Germania e Svizzera. Vescovi da molti considerati all’avanguardia. Starà a chi di loro prenderà parte al prossimo Sinodo, come il cardinale Marx che ha concluso i lavori, portare riflessioni tanto liberali. Fino al Papa. Commenta uno dei partecipanti al Sinodo dello scorso ottobre: «Magari ci fosse stata una simile discussione in Vaticano. Non c’è ancora stata quella libertà di parola che abbiamo avuto noi, qui, oggi. Ma abbiamo la speranza che tutto questo, adesso, serva».