martedì 26 maggio 2015

Repubblica 26.5.15
Le mosse del premier “Va bene il 5 a 2 ma solo a un patto vincere in Liguria”
Gli obiettivi di Palazzo Chigi. Ma se la Paita perde può riaprirsi lo scontro con la minoranza dem
di Goffredo De Marchis


ROMA A Palazzo Chigi si fanno i pronostici per le regionali e il 4 a 3 che in campagna elettorale diventa comunque un successo secondo le dichiarazioni di Matteo Renzi, nella realtà viene valutato per quello che è. «Una sconfitta », spiega il premier ai suoi collaboratori. Significa infatti perdere non solo le due regioni che oggi sono governate dal centrodestra (Campania e Veneto), ma anche la Liguria che viene da 10 anni di dominio incontrastato del centrosinistra.
La Liguria è la regione chiave della sfida di domenica per molte regioni. Lasciarla agli avversari toglierebbe un po’ di vento in poppa al governo e al Pd che arriva al confronto dopo il successo clamoroso delle Europee (40,8 per cento). Un brutto segnale per Renzi alla fine di un percorso di riforme e di segnali migliorati sull’economia. In quella regione si combatte anche il secondo tempo di una partita tutta interna al Partito democratico, tra il segretario e la sinistra. Il primo si è svolto sull’Italicum e lo ha vinto Renzi. Ma la partita non è finita. Se il Pd dovesse perdere la Liguria avrebbe avuto un peso determinante la candidatura di Luca Pastorino, candidato di Cofferati, Pippo Civati, Stefano Fassina e di Sel. Ovvero della “Cosa rossa” che è lo spazio da occupare per le politiche troppo centriste dell’esecutivo. È un fantasma che non trova conferme nei dati dei sondaggi, dove il vantaggio di Raffaella Paita ancora resiste ma che può materializzarsi domenica notte.
Non a caso la Liguria pesa anche sull’analisi di un eventuale 5 a 2. «Sarebbe un pareggio», ammette Renzi nei suoi colloqui privati. Ognuno si tiene le regioni che aveva e si riparte da zero a livello nazionale. Ma il giudizio finale dipende molto da come si realizza questo possibile risultato. Se è il frutto di una vittoria in Campania e di una sconfitta in Liguria, avrebbe un sapore amaro. Per un motivo molto semplice. L’ala scissionista del Pd ha puntato tutte le sue fiche sulla sfida tra Toti-Paita-Pastorino. Se c’è uno scivolone del Pd anche a Roma avranno la prova che c’è vita a sinistra fuori dal Partito democratico. Tutto questo alla vigilia di nuovi passaggi importanti in Parlamento. La seconda lettura della riforma della scuola, l’esame al Senato della legge costituzionale e l’avvio dell’esame dei diritti civili. Il governo può ballare, fuori dalla sua maggioranza è possibile la nascita di qualcosa di nuovo.
Nel caso il 5 a 2 dovesse venire solo dalle conferme delle attuali giunte, il risultato avrebbe quasi il sapore di una vittoria. Ma il vero obiettivo di Renzi è almeno il 6 a 1, da mettere insieme ai ribaltamenti già realizzati in Abruzzo, in Calabria, in Piemonte, in Sardegna. Una vittoria piena, un quasi cappotto che toglierebbe il fiato alla minoranza dem e allontanerebbe i venti europei che soffiano a favore di movimenti anti- sistema simili ai 5stelle. Questo è il vero successo, non certo il «4 a 3» evocato l’altro giorno da Renzi, un po’ per scaramanzia un po’ per poter eventualmente esaltare un esito di gran lunga migliore. In questo caso, a Palazzo Chigi fanno notare che neanche il dato dell’astensionismo potrebbe offuscare la vittoria. «Conta il numero delle regioni, non i votanti», dicono gli uomini del premier. La stessa risposta offerta all’indomani delle regionali in Emilia Romagna che promossero il governatore Stefano Bonaccini sì, ma con un’affluenza bassissima. Ecco, l’affluenza tornerebbe a contare solo in caso di pareggio 5 a 2. O di un brutto pareggio con la perdita del governo a Genova.
Il 7 a 0 è chiedere troppo, malgrado l’impegno senza sosta di Alessandra Moretti in Veneto. Basta il 6 a 1 per respingere le critiche e gli «agguati» della sinistra come li chiamano a Palazzo Chigi dove mettono insieme l’uscita di Civati e quella imminente di Fassina, le mosse di Maurizio Landini, la scelta della scheda bianca suggerita da Susanna Camusso per le elezioni venete, l’attacco sempre più violento di Nichi Vendola all’esecutivo. Ma Roberto Speranza non accetta che si dipinga la sinistra Pd come distratta o disimpegnata rispetto alle regionali. «4 a 3 o 6 a 1? Per me dobbiamo avere l’ambizione del 7 a 0 », dice l’ex capogruppo. Domani Speranza sarà anche a Genova per sostenere Raffaela Paita, proprio nella regione che mette al centro anche gli equilibri futuri del Pd. «Stiamo lavorando con spirito unitario. Io sono a Matera per una manifestazione con Lorenzo Guerini per appoggiare il sindaco Adduce che è della sinistra». E per contrastare l’astensione, spiega, c’è un solo modo: «Convincere la gente ad andare alle urne. I picchi di astensionismo non fanno bene alla democrazia».