lunedì 25 maggio 2015

Repubblica 25.5.15
Non rispettano i luoghi d’arte, rumorosi a teatro. Pechino lancia manuali nelle scuole
La Cina a lezione di buone maniere “Cari compagni siate più educati”
di Giampaolo Visetti


PECHINO LA CINA acquista l’Occidente, ma non sa come comportarsi nel suo nuovo salotto. L’imbarazzo paralizza sia i cinesi che gli stranieri. I primi avvertono un’inadeguatezza non superabile con il denaro. Sui secondi grava l’opportunità di ignorare le cattive maniere di clienti necessari.
Il caso “Cina maleducata” fa scattare l’allarme nella leadership rossa. Rivela che influenza economica ed egemonia culturale non viaggiano alla stessa velocità, né nella medesima direzione: ma soprattutto che ricchi e classe media subiscono il fascino irresistibile del Far West. I nuovi “padroni del mondo” vanno alla conquista di Europa e Stati Uniti, ma invece di contagiarli di “asiaticità” vengono infettati dal virus dell’Ovest. I media di Stato riservano in questi giorni una discussione senza precedenti sull’«improvviso senso di inferiorità collettiva» che opprime la seconda economia del pianeta non appena si affaccia al di là della Grande Muraglia. Lo stesso presidente Xi Jinping, nazionalista impegnato a recuperare sia l’orgoglio maoista che il mito imperiale, spinge la propaganda ad imporre una «rivoluzione dei comportamenti individuali » per «non danneggiare immagine politica e peso commerciale ». Dalla rieducazione ideologica dei vecchi compagni si passa all’educazione stilistica dei nuovi consumatori, dal Libretto Rosso al manuale di monsignor Della Casa. L’ultimo psicodramma, dopo che il governo ha annunciato «lezioni obbligatorie di galateo » anche per chi intende assistere a concerti di musica classica. Seguire un’opera di Mozart, eseguita da un’orchestra europea, equivale al timbro del successo. Il problema è che, abituati al caos dei concerti in case da tè e ristoranti, i cinesi non conoscono l’etichetta imposta dalla liturgia dei teatri. Gli spettatori si scatenano nei selfie con il primo violino sullo sfondo: qualcuno si taglia le unghie e fa pulizia nelle orecchie, altri sbucciano arance, succhiano il brodo dei tagliolini istantanei, gridano al cellulare, passeggiano tra le poltrone, o improvvisano karaoke di gruppo. Nel meraviglioso Centro nazionale dell’arte, dietro piazza Tiananmen, si entra e si esce, si applaude e si fischia, si grida e si tossisce mentre indignati musicisti stranieri continuano a suonare. Zheng Xiaoying, 86 anni, direttrice d’orchestra-mito dell’Opera nazionale, ha confessato la sua vergogna a un quotidiano di Hong Kong. «La prima volta che Herbert von Karajan portò nel Fujian i filarmonici di Berlino — ha detto — attese oltre un’ora per ottenere silenzio assoluto. È una lezione che dopo quasi 40 anni i cinesi non hanno ancora imparato ». La resistenza alla “educazione occidentale” non si limita alla musica. Dieci persone sono state arrestate nello Yunnan per aver ucciso e fatto a bistecche una femmina di panda gigante. Hanno assicurato di trovare «naturale » la caccia pure a tigri, squali, cani, tartarughe e gibboni. L’incontro-scontro con il galateo dell’Occidente, con la sensibilità della sua civiltà e dei suoi valori culturali, rischia di sprigionare in Cina scosse più violente di quelle politiche. Oltre un miliardo di individui, ora liberi di viaggiare all’estero, si imbattono in regole di comportamento e stili di vita ignoti. Le autorità di Pechino sono state costrette a minacciare lo «stop nazionale alle vacanze» dopo che i turisti incidevano le proprie iniziali sulle piramidi di Luxor, sputavano sui quadri del Louvre, staccavano schegge di gondola a Venezia e offrivano mazzette alle cassiere delle boutique di Londra pur di saltare la coda per pagare.
I media di Stato definiscono «imbarazzante» anche «la scoperta di tintarella, bellezza ed erotismo». Nell’isola di Hainan il ceto medio, a cui è sempre stato insegnato che il fascino si nasconde dietro la pelle bianca come la luna, per la prima volta fa la prova costume. L’assalto alle spiagge trasforma il paradiso tropicale in una discarica e i giornali di partito tuonano contro «una massa indulgente a vari stadi di nudità». La chirurgia estetica è il più ambito statussymbol: bambine e studentesse trascorrono le vacanze nelle cliniche sudcoreane e a migliaia vengono fermate al rientro perché la foto sul documento non assomiglia più alla proprietaria. Per il partito-Stato la voglia di «rifarsi » non è uno scandalo: lo è piuttosto il fatto che la plastica punti a replicare le star di cinema e musica dell’Occidente, «riducendo il popolo cinese ad un grottesco esercito di zombie hollywoodiani ». Ancora più delicato il fronte dell’eros, tabù estremo ereditato dal Grande Timoniere. Fino a ieri in Cina, a livello ufficiale, semplicemente il sesso non esisteva. L’apertura al mondo, al web e al business, ne riversa oggi nel Paese dosi da cavallo e i porno-shop passano dai vecchi film a luci rosse con gli attori in mutande alle «dimostrazioni pratiche» dei nuovi sex-toys «direttamente in negozio». Anche divorziare quasi subito, più che infarcire ogni discorso di termini in «chinglish» fa sentire occidentali e gli xenofobi cinesi subiscono l’irrefrenabile attrazione pure per l’esterofilia sentimentale. Problema: ma come si deve stare, se non si può più stare come si è sempre stati in Cina? Soluzione, suggerita dal premier Li Keqiang: un manuale statale di “educazione globale”, annunciato per l’autunno nelle scuole. Regola numero uno: «Compagni non fate i cinesi, ma evitate di fare gli americani». Le figuracce pesano, ma l’umiliazione è arrendersi.