domenica 24 maggio 2015

Repubblica 24.5.15
Le umanissime impronte della storia
Da Chateaubriand a Gauthier
I calchi di chi morì a causa dell’eruzione hanno sempre suscitato ogni genere di racconto
di Maurizio Bettini

ORME e impronte non sono segni come gli altri. «Mai tagliare con un coltello l’orma di un uomo! » prescriveva un precetto attribuito a Pitagora; il quale suggeriva anche di cancellare dal materasso l’impronta del proprio corpo, quando al mattino ci si alza dal letto. In Grecia poi si raccomandava ai ragazzi di lisciar bene la sabbia su cui si erano seduti, in palestra, per non lasciare tracce della loro bellezza agli amatori. Il fatto è che orme e impronte nascono attraverso un contatto fisico, di conseguenza danno l’impressione di trattenere in sé qualcosa della persona che le ha impresse — di lei non si limitano a suggerire un’immagine o un ricordo, ma ne suscitano direttamente la “presenza”. E questo è per l’appunto Pompei: una gigantesca, tragica, vivente impronta lasciata dall’antichità sul suolo della Campania. Il tempo, che ineluttabilmente cancella le orme del passato, a Pompei è stato preceduto da una cascata di cenere e lapilli: che queste impronte ha preservato intatte fino al momento in cui gli scavi hanno riportato alla luce la città sepolta. Per tale motivo Pompei ha sempre esercitato su chi la visita un’attrazione del tutto speciale, diversa da quella suscitata da altri monumenti, fin anche il Partenone o il Colosseo: perché nelle sue vie, nelle sue case, nelle sue piccole tabernae la vita antica — paradossalmente congelata da una colata di fuoco — ha lasciato non solo una memoria, ma una presenza.
Che poi orme e impronte, non metaforiche ma reali, dagli scavi di Pompei ne sono fiorite numerose. Gli oggetti di materiale deperibile, come infissi, mobili o stoffe, nel loro secolare consumarsi all’interno della coltre di cenere vi hanno lasciato la cava effigie delle proprie forme. Fu Giuseppe Fiorelli, direttore degli scavi di antichità nel Regno di Napoli, che nel 1863 ebbe l’idea di far colare gesso liquido in queste cavità, ricavandone calchi pieni e perfetti. E non solo di oggetti, ma soprattutto di persone: uomini e donne sorpresi dall’eruzione, fuggiaschi che non ce l’avevano fatta, fissati nelle pose più dolorose e svariate. Come si può immaginare il ritorno alla luce di questi scomparsi suscitò ogni genere di fantasie e di racconti. A questi “doppi” degli antichi abitatori di Pompei, miracolosamente riemersi attraverso le impronte che di sé avevano lasciato, si vollero attribuire nomi, qualifiche, occupazioni, sentimenti: perfino identificare con commozione l’ultimo atto da essi compiuto prima della fine, si trattasse d’amore o di disperazione. «La morte ha plasmato le sue vittime alla maniera di uno scultore», scrisse René de Chateaubriand con meravigliosa, francese retorica. Solo che, assai paradossalmente, i poteri dell’orma tanto più si rivelano forti, quanto meno definita è la figura della persona che l’ha impressa.
È ciò che testimonia la singolare vicenda di un’impronta pompeiana che (si diceva) fu lasciata da un seno femminile. Nel 1772 il Giornale dello Scavo riferisce infatti di aver ravvisato, nella cosiddetta Villa di Diomede, la traccia del «petto di una donna ricoperto da una veste». A dispetto del tenore di questa registrazione, invero assai poco sensuale, una volta esposta nel museo di Portici, la misteriosa impressione darà vita a ogni sorta di sogni e fantasie letterarie. Come documenta Giuseppe Pucci nel bel saggio dedicato ai calchi, pubblicato nel Catalogo della mostra, di questa impronta scrissero fra i tanti Sir William Hamilton, l’abbé de Saint-Non e ancora René de Chateaubriand: che la vide nel 1801 e di quel seno mantenne un ricordo assai vivo. Cinquant’anni dopo Théophile Gauthier, in un racconto dal titolo Arria Marcella. Souvenir de Pompéi, immaginerà perfino un incontro fra il giovane Octavien — anche lui affascinato da quell’impronta — e una fanciulla il cui seno gli sembra corrispondere in tutto e per tutto a quello contemplato al museo. Nel frattempo attorno a Octavien, preso d’amore, Pompei si ripopola miracolosamente dei suoi antichi abitanti, di nuovo presenti; e la vita, quella autentica, torna a scorrere nelle vie e nelle piazze della città. Potenza suscitatrice di un’impronta.