venerdì 22 maggio 2015

Repubblica 22.5.15
“Noi, che preghiamo senza credere in Dio” quelle messe in chiesa delle comunità laiche
Si chiamano “Nones” e i loro gruppi si moltiplicano dagli Usa al Regno Unito
Non si riconoscono nella religione ma avvertono un forte bisogno di spiritualità
E anche il mondo cattolico comincia a guardarli con interesse
di Paolo Rodari


LE comunità già attive sono ventotto. Ma le adesioni sono così massicce che in pochi mesi si prevede arrivino a cento. Sono presenti nel Regno Unito, in Irlanda, negli Stati Uniti e in Australia. Gli aderenti vengono per la maggior parte da comunità cristiane, gente che nel credo di Gesù di Nazaret non riesce più a trovare motivi adeguati di sequela. Persone che, incapaci di elidere del tutto una sorta di sfera sacrale dall’interno delle proprie esistenze, sceglie una sua evoluzione para religiosa: le congregazioni laiche dei Nones , da «none of the above», ovvero «nessuno dei sopracitati», dove i sopracitati sono i classici gruppi religiosi, qualsiasi essi siano e qualsiasi credo perseguano.
I Nones, insomma, non hanno Dio, né credo di riferimento, sono semplicemente congreghe dedite a offrire ai propri aderenti un servizio religioso depurato di qualsiasi aspetto soprannaturale. «In una domenica mattina londinese insolitamente calda — scrisse tempo fa sul New Scientist Graham Lawton — , faccio una cosa che non facevo da trent’anni: mi alzo e vado in chiesa. Per un’ora e mezza canto, ascolto letture, mi godo momenti di tranquilla contemplazione e getto qualche moneta nel cestino delle offerte. Alla fine c’è il tè con i biscotti, e una sensazione di calore in quella che immagino sia la mia anima. In centinaia di luoghi in tutta la città, nello stesso momento, sta succedendo la stessa cosa. Con una sola differenza: qui non c’è nessun dio. Benvenuti all’assemblea domenicale della “congregazione laica”, che si svolge ogni due settimane alla Conway hall”».
In sostanza, lo scopo dei Nones è uno: limitarsi a celebrare la vita vivendola il più pienamente possibile. Il tutto riunendosi in assemblee capaci di offrire la consolazione di un servizio religioso privo di aspetti soprannaturali. Dove Dio, morto e sepolto, rivive e risorge in un bisogno indistinto e indecifrabile di soprannaturalità.
Una forma di religiosità sempre più in espansione nelle nostre società postmoderne, tanto che di essa, recentemente, si è occupata anche la Civiltà Cattolica, la storica rivista dei gesuiti che con padre Giandomenico Mucci ha scritto: «In definitiva, dai Nones, arriva di nuovo il messaggio laicista che una società senza Dio può essere una società sana, non ostile alla religione, ma ad essa indifferente, senza la fredda razionalità della società teorizzata da Weber e Durkheim e, più recentemente, da Dawkins. Una società semplicemente soddisfatta di essere diventata indifferente al problema di Dio».
Uomini e donne senza Dio, insomma. Ma non per questo feroci nei suoi confronti e verso i credo istituzionali. Semplicemente indifferenti. O quantomeno apatici. Tanto che il loro, più che essere un ateismo tout court, è un apateismo: indifferenza (apatia) verso Dio (theòs).
Certo, non tutti aderiscono ai Nones . Molti, infatti, vivono l’indifferenza in modo intimo, privato. Un numero di persone cresciuto velocemente negli ultimi due decenni come dimostra uno studio recentemente pubblicato dal Pew Research Center negli Stati Uniti. Il rapporto rivela che il 19,6% degli intervistati si dice «agnostico», «ateo» o «non interessato ad una fede particolare», mentre nel 1990 la quota si fermava all’otto per cento.
A chi sostiene che una società “senza Dio” degeneri e che la fede sia necessaria per non cadere nel caos, Philip Zuckerman, sociologo del Pitzer College di Claremont noto per gli studi sui non credenti ed esperto dei Nones , risponde che un’analisi globale del 2009 ha messo a confronto religiosità e parametri del benessere sociale (come ricchezza, uguaglianza, diritti delle donne, istruzione, aspettativa di vita, mortalità infantile, gravidanze precoci, diffusione di malattie veneree, tasso di criminalità, suicidi e omicidi) e ha rilevato che «più un Paese è laico e meglio se la cava». Per Zuckerman «certi aspetti della visione laica della realtà contribuiscano a creare società più sane», a beneficio di tutti: ritenere che «questo sia l’unico mondo che abbiamo» e non ci sia un aldilà spinge a «renderlo migliore che puoi»; l’importanza data alla scienza, all’istruzione e alla razionalità spinge a cercare soluzioni concrete: «Per mettere fine alla criminalità — si chiede — dobbiamo pregare o combatterne le cause?».
In fondo è questa la sfida che anche la Chiesa cattolica, col Papa callejero regnante, può fare propria: guardare alla positività che la secolarizzazione comporta e non anteporsi ad essa additandola come la causa di ogni male. È un po’ la proposta avanzata anni fa da Dietrich Bonhoeffer, teologo evangelico “della secolarizzazione”, martire ai tempi del nazismo: i tempi sono maturi per un cristianesimo non religioso, diceva, un cristianesimo che ripensa la concezione di Dio, di Cristo, della Chiesa e dell’essere cristiani elaborando una nuova ermeneutica per far nascere un rapporto positivo e costruttivo con il mondo, la storia e la modernità.