venerdì 22 maggio 2015

Repubblica 22.5.15
Matrimonio all’irlandese
L’Isola di smeraldo era la nazione più conservatrice d’Europa oggi decide con una consultazione popolare se introdurre le nozze tra omosessuali
Tutti i partiti invitano a votare “sì”. E perfino parte della Chiesa è a favore
di Enrico Franceschini


DUBLINO TOC , toc. Una simpatica vecchietta apre la porta in una viuzza dietro il porto di Dublino. «Buongiorno signora, sono qui per chiederle il permesso di sposarmi», le dice con prontezza Rebecca Murphy, 34 anni, volontaria della campagna per il “sì” al matrimonio gay nel referendum che si tiene oggi in Irlanda. «Dio ti benedica, figliola, non capisco perché hai bisogno della mia autorizzazione ma sono ben lieta di dartela, il matrimonio è una cosa meravigliosa », risponde sorpresa la nonnina. Quindi domanda chi è lo sposo. «Eccola», replica Rebecca, indicando Mary Burgen, la ragazza che fa campagna porta a porta insieme a lei, «è la mia girlfriend e vorrei che diventasse mia moglie, ma ho bisogno del suo voto per poterlo fare. Me lo darà?». L’elettrice dai capelli bianchi tace, deglutisce, scuote la testa e poi chiude la porta in faccia alle due lesbiche che sognano di sposarsi. «Le reazioni negative o imbarazzate non mancano», commenta Mary. «L’altro giorno un tizio ci ha rincorse con un crocefisso gridandoci “sodomiti”, già questo un segno di confusione in materia di sessualità. Ma la maggior parte della gente è genuinamente interessata alla questione. E chi ha dei dubbi sembra felice di poterseli chiarire: capita che ci facciano entrare, ci invitino a prendere un tè e poi non la smettano più di interrogarci ».
Dubbi e interrogativi non devono meravigliare. L’Isola di Smeraldo, come è soprannominata per il colore dei suoi prati, era il Paese più cattolico, tradizionalista e moralmente conservatore d’Europa. Qui l’omosessualità ha smesso di essere un reato soltanto nel 1993. Il divorzio è stato approvato due anni dopo, con un referendum, per appena 9mila voti di differenza. L’aborto rimane illegale. Niente di strano, dunque, nella reazione della vecchietta alle due militanti del Lbgt, il movimento Lesbian Bisexual Gay Transgender, che ora ha una sua sezione anche in Irlanda. La meraviglia, casomai, è che in una nazione del genere si faccia una consultazione popolare per introdurre le nozze tra i gay, e che tutti i partiti politici irlandesi, di centrosinistra, di centro e di centro-destra, invitino apertamente a votare “sì” alla nuova legge: compreso il primo ministro Enda Kenny, un tempo fiero oppositore dei diritti dei gay, quindi convertito sulla via di Damasco, anche in virtù dell’annuncio del suo ministro della Salute Leo Varadkar di essere omosessuale, primo segretario irlandese della storia apertamente omosessuale. «Votate “sì” al matrimonio fra gay e cambiate la storia », afferma ora il premier. Da mesi i sondaggi predicono una netta maggioranza a favore dell’approvazione della legge. La percentuale è diminuita man mano che si avvicinava il giorno del voto, passando dal quasi 70 al 65 al 58 per cento nell’ultimo rilevamento, pubblicato dai giornali alla vigilia del referendum. Ma l’opinione dominante è che, seppure di misura, oggi prevarranno i “sì”.
Manifesti e cartelli elettorali, lungo le strade della capitale, riflettono questa apparente tendenza: sono più numerosi quelli per la riforma costituzionale necessaria a introdurre il matrimonio fra persone dello stesso sesso (“vota sì per un’Irlanda più equa”) di quelli contrari (“vota no perché l’amore di una madre è insostituibile” — altro segno di confusione riguardo all’universo gay, ironizzano le militanti lesbiche, considerato che di madri, un loro figlio, ne avrebbe addirittura due). Si sono espressi per il “sì” alcuni degli irlandesi più famosi, come l’ex-calciatore e ora co-allenatore della locale nazionale di calcio Roy Keane, l’attore emigrato a Hollywood Colin Farrell, lo scrittore Colm Toibin, lui stesso omosessuale (ne ha approfittato per ricordare le discriminazioni sofferte dal più famoso romanziere omosessuale irlandese di tutti i tempi, Oscar Wilde). Sono per il sì i giornali di Dublino, come l’ Irish Examiner, che motiva così in un editoriale la sua posizione: «Le società si evolvono lasciandosi alle spalle credenze e abitudini un tempo ritenute eterne e abbracciando alternative più adatte al mondo com’è oggi». E sono per il sì i leader delle aziende della rivoluzione digitale, Apple, Facebook, Google, che hanno portato a Dublino (per ragioni fiscali) il loro quartier generale europeo.
Perfino la chiesa cattolica non ha reagito con un “no” uniforme e compatto. «Voterò sì in nome dell’eguaglianza, per riconoscere che l’amore può esistere anche fra due persone dello stesso sesso», afferma padre Peter McVerry, giovane prete. Gli fa eco suora Stanislaus Kennedy, 75enne fondatrice di un’associazione di carità: «Sposarsi è un diritto umano, dunque deve essere un diritto di tutti ». Il vescovo di Dublino, monsignor Diarmuid Martin, dichiara che lui voterà “no” ma non si sente di dire alla gente come deve votare. Soltanto l’arcivescovo Eamon Martin, primate della chiesa cattolica d’Irlanda, tuona contro le unioni dello stesso sesso, «nemmeno lontanamente previste dai piani di Dio per il matrimonio e la famiglia». La diocesi irlandese ha inviato alle parrocchie direttive sul referendum, invitando a votare “no”. Ma le parrocchie non sono più le stesse. Hanno perso fedeli. Trent’anni fa il 90 per cento degli irlandesi andava a messa tutte le domeniche, oggi ci va solo il 30 per cento. Gli scandali su pedofilia e abusi sessuali che hanno coinvolto sacerdoti e monache sono una causa dell’allontanamento di molti irlandesi dalla fede. Un’altra è il boom economico degli ultimi due decenni, che ha trasformato un paese di contadini ed emigranti nella “Tigre Celtica” e laicizzato fortemente la società. «Quando ero bambino, mio padre ci faceva leggere il rosario tutte le sere», ricorda Emon, l’autista insieme al quale seguo il porta a porta della campagna. «Io stesso quando avevo vent’anni andavo a messa tutti i giorni, alzandomi presto, prima del lavoro. Adesso però sono incerto su come votare, perché da un lato aderisco ai precetti della chiesa, dall’altro non voglio discriminare nessuno. E i miei figli, pur sentendosi cattolici, voteranno “sì” alla riforma». Taglia corto Brian Sheehan, fondatore di Yes Quality, la campagna per il “sì” al referendum: «La maggioranza della popolazione irlandese è favorevole alla nuova legge e la maggioranza della popolazione irlandese è cattolica. Significa che la chiesa non è più al passo con i propri fedeli».
Permane, ciononostante, un alone di incertezza. Nei villaggi, il cattolicesimo è più forte e restio alle innovazioni. Nelle città, la campagna Fathers and Mothers Matter (I padri e le madri contano) ottiene consensi sostenendo che la sua non è un’opposizione omofobica: «I gay hanno già il patto di unione civile, che bisogno c’è di dargli anche il matrimonio?». E per due volte, nel 2001 e nel 2008, l’Irlanda votò “no” in referendum sull’Unione Europea in cui tutti prevedevano la vittoria dei “sì”. Si tratta insomma di convincere la parte più anziana e conservatrice della popolazione, come Rebecca e Mary provano a fare, bussando di porta in porta. «Buongiorno, signora, mi dà il permesso di sposare la mia girlfriend? ».