giovedì 21 maggio 2015

Repubblica 21.5.15
Gli sbarchi e le paure delle infiltrazioni “Ma il pericolo non arriva via mare”
Per ragioni geografiche, l’Italia è terra di transito di jihadisti e foreign fighters. Intelligence e polizia ricordano che chi raggiunge le nostre coste viene subito inserito nella banche dati Europol e cessa perciò di essere invisibile
di Carlo Bonini


ROMA COSA racconta davvero la storia di Abdel Majid Touil? O, detta altrimenti: cosa prova la circostanza che questo giovane marocchino accusato di complicità nella strage del Bardo sia arrivato nel nostro Paese su un barcone soccorso nel canale di Sicilia da un’unità della nostra marina militare il 17 febbraio scorso? C’è spazio insomma perché questa vicenda imponga una rilettura della minaccia islamista al nostro Paese e indichi nel flusso di migranti via mare la nuova falla del nostro sistema di sicurezza nazionale, come pure vorrebbero gli allarmi del Pentagono sulla esplosiva crisi libica e una campagna alimentata ancora negli ultimi giorni oltre che dalla stampa inglese, da esponenti della Lega, del Movimento 5 Stelle e della Destra?
Girate in queste ore a fonti qualificate della nostra intelligence, dell’antiterrorismo (polizia di prevenzione e Ros dei carabinieri), del Dipartimento della Pubblica sicurezza, le domande raccolgono una risposta tetragona. Che suona così. «Non esiste alcun nuovo elemento in grado di capovolgere quanto documentato appena due mesi fa dalla relazione consegnata dai nostri Servizi al Parlamento sulla Politica dell’Informazione per la Sicurezza per il 2014». E in quel documento questo si leggeva: «Il rischio di infiltrazioni terroristiche nei flussi via mare è un’ipotesi plausibile in punto di analisi. Ma è un’ipotesi che, sulla base delle evidenze informative disponibili, non ha trovato sinora riscontro».
Del resto, anche le evidenze statistiche sembrano condurre a un’identica conclusione. Nei primi cinque mesi di quest’anno, le attività di prevenzione delle nostre polizie in materia di terrorismo islamico hanno riguardato 1.982 “obiettivi sensimunque bili” (centri di aggregazione religiosa, associazioni culturali, moschee) che hanno portato all’identificazione di 8.045 stranieri che li frequentavano. I “sospetti” sottoposti a controllo sono stati 961 e 294 le perquisizioni. «Ebbene — chiosa una fonte qualificata della nostra Antiterrorismo — da nessuna di queste attività è emerso un solo nesso in grado di collegare i flussi di migranti via mare ad attività di generico proselitismo jihadista o, addirittura, di pianificazione di atti violenti».
Né cambia la sostanza se si consulta l’ultimo rapporto disponibile di Europol (sugli atti di terrorismo censiti in Europa tra il 2006 e il 2013, solo l’1 per cento è riconducibile a una matrice religiosa) o se, per restare in Italia, si va indietro di un anno. Nel 2014, a fronte di 170.100 migranti (fonte ministero dell’Interno) approdati sulle nostre coste o comunque soccorsi in mare, gli arresti nel nostro Paese per reati connessi a una minaccia di natura terroristico- islamica sono stati sette e 36 i provvedimenti di espulsione. E, anche in questo caso, nelle biografie dei fermati e degli espulsi non è saltato fuori un solo indizio che li collegasse direttamente o indirettamente a un loro ingresso via mare in Italia per «scopi terroristici».
Dunque?
«Dunque — osserva una fonte di vertice del Dipartimento della Pubblica sicurezza — la verità è che la vicenda di Touil è la prova che la più insicura delle rotte eventualmente scelte per infiltrarsi nel nostro Paese per scopi terroristici è proprio quella dei barconi della disperazione. Chi arriva via mare viene identificato e inserito nelle banche dati di Europol, vengono prese le sue impronte digitali. Cessa dunque di essere un invisibile appena mette piede sulle nostre coste. E questo, evidentemente, fa a pugni con la logica che muove chiunque, a qualunque latitudine, pianifichi o stia per mettere a segno un attacco terroristico».
Diversa, evidentemente, è la constatazione o, se si preferisce, la conferma che l’Italia, per ragioni innanzitutto geografiche, sia storicamente — quantomeno a partire dagli anni ‘90 — retrovia, hub o cola terra di transito di chi coltiva il sogno della jihad o dalla jihad fa ritorno (il fenomeno dei foreign fighters). E che nella solitudine in cui è stata lasciata dall’Europa, il suo punto debole sia nella materiale impossibilità di poter avere la certezza che un migrante cui viene consegnato un ordine di espulsione a quell’ordine si attenga davvero e per giunta volontariamente (è il caso di Touil e di migliaia di stranieri come lui), visto che le nostre procedure di respingimento non consentono in questo momento accompagnamenti coatti oltre frontiera («Qui è un gran caos. Il punto debole sta nella procedura di controllo delle impronte digitali. Qui si cercano innanzitutto gli scafisti. I migranti o fuggono o vengono sparpagliati. L’Italia ne ha fin sopra i capelli e ritengo che sia estremamente difficile fare controlli seri su tutti», ha detto ieri a Radio 2-4il procuratore di Agrigento, Renato Di Natale).
Così come è altrettanto evidente e documentato dalle più recenti indagini antiterrorismo che nel nostro Paese le forme di nuova radicalizzazione — e dunque la qualità della minaccia islamista — siano identiche a quelle conosciute (per altro in termini numerici ben più consistenti) dalla Francia o dall’Inghilterra. «Anche noi abbiamo i nostri “ homegrown terrorist” — osserva una fonte dell’Antiterrorismo — Anche per noi vale una minaccia molecolare che non ha più le sembianze delle cellule, di strutture organizzate in forma verticale, ma quella dei cosiddetti selfstarter . Lupi solitari che si radicalizzano con sempre maggior frequenza in Rete o attraverso i social network, autosufficienti dal punto di vista finanziario e capaci di colpire sfruttando la prima “finestra di opportunità” disponibile. Ma, ancora una volta, tutto questo con l’immigrazione via mare non ha nulla a che vedere ».