Repubblica 20.5.15
Nella fabbrica della vita
La corsa all’immortalità è la nuova sfida dei Padroni della Rete. Che investono, e tanto, nei laboratori a pochi chilometri dalla Silicon Valley. Ne è nato un polo di ricerca che, intanto, ha messo nel mirino la cura del cervello
di Federico Rampini
BERKELEY I TITOLI a effetto se li conquistano loro, i Padroni della Rete. I capitalisti più innovativi del pianeta, i grandi imprenditori della Silicon Valley, si appassionano per una nuova sfida: la corsa verso l’immortalità. Non quella che si ottiene passando alla storia, restando impressi nella memoria dei posteri. No, l’immortalità biologica. Sergey Brin, co-fondatore di Google, si sta convincendo che è possibile “curare la morte”. Il suo consulente Ray Kurzweil ne è convinto e già oggi progetta un futuro in cui il suo corpo verrà aggiustato all’infinito, mentre cervello memoria carattere e sogni finiranno di qui all’eternità nel “cloud”, la nuvola digitale che promette una conservazione senza data di scadenza. Larry Ellison di Oracle si ribella alla nozione di mortalità, secondo lui “incomprensibile”. Il fondatore di PayPal, Peter Thiel, ha già pianificato la sua vita fino all’età di 120 anni, nell’attesa che la biogenetica lo spinga ben oltre. Fioriscono grazie ai finanziamenti di questi magnati dell’economia digitale istituti come Sens, che promette “l’ingegneria della senescenza annullata”, o il Progetto Calico con cui Google intende debellare la nostra mortalità. Questi sono i personaggi straripanti che attirano i media, fanno a gara nell’impressionarci.
Ma dietro c’è una realtà concreta, una rivoluzione autentica che germina proprio qui. I suoi protagonisti non sono glamour come i capitalisti di Internet, ma abitano e lavorano a poche miglia di distanza. Sono venuto a trovarli, in uno dei laboratori dove davvero si stanno spostando i confini della vita umana. University of California, Berkeley. La Silicon Valley, quando non c’è troppo traffico, è solo a un’ora di autostrada da qui. E questo spiega quello. I Padroni della Rete, addestrati come pochi a fiutare le nuove rivoluzioni tecnologiche, hanno capito che un sisma sta accadendo fra le mura di questi mega- laboratori universitari. The “Next Big Thing” non sarà un ennesimo gadget elettronico o social media. Sarà qualcosa che sconvolge, in positivo, l’essere umano, la cura delle malattie, la longevità.
Uno degli “stregoni buoni” che spostano i confini del futuro, è John Ngai, che mi accoglie nel centro ricerche di cui è direttore, il Functional Genomics Laboratory di Berkeley. Esperto di biologia molecolare, si occupa da anni del cervello. E quindi dal suo lavoro possono scaturire scoperte decisive per la cura delle malattie del nostro tempo, quelle che stanno dilagando insieme con la longevità. Parkinson, Alzheimer, demenza, e altre malattie degenerative della mente e del sistema nervoso. Sono malattie che un tempo erano rare perché si moriva prima. Oggi, la loro diffusione di massa è una delle ragioni per cui molti di noi resistono all’idea di allungare all’estremo la longevità. A che serve campare molto di più, se il pezzo finale della vita lo passiamo da infermi, a volte smemorati, l’ombra di quello che siamo stati?
«Sì, è una vera rivoluzione quella che sta accadendo qui». John Ngai, discendente da una famiglia asiatica ma nato a New York, 57enne che dimostra dieci anni di meno, mi parla con tono suadente, articola le sue complicate ricerche nel linguaggio più divulgativo possibile. Ma è determinato, nel sottolineare la portata dirompente di quello che fa. «Sotto i nostri occhi, nel campo della biologia e della genetica sta accadendo qualcosa di storico. Le premesse di questa rivoluzione furono costruite ormai più di un decennio fa, con la mappatura del genoma. Allora intuimmo che le conseguenze, le applicazioni, potevano essere sconvolgenti. Adesso, le promesse si stanno materializzando».
Ngai fa parte di un esercito di scienziati venuti da tutto il mondo, attirati dalla ricchezza dei finanziamenti americani. Barack Obama ha messo a loro disposizione dal 2013 l’arsenale dei grandi istituti federali che finanziano la ricerca. Sotto il cappello generale della Brain Initiative (l’iniziativa per il cervello) si uniscono le risorse dei National Institute of Health (Nih), del National Health Service (Nhs), perfino della Defence Advanced Research Projects Agency o Darpa, cioè quel ramo del Pentagono che fu all’origine della nascita di Internet. Solo per i progetti di cui si sta occupando Ngai, i fondi federali sono 5 miliardi di dollari in dieci anni. E secondo questo biologo molecolare, saranno davvero soldi ben spesi.
«Per centinaia di anni — dice — la scienza è rimasta bloccata, riguardo alla conoscenza del cervello umano. È il sistema biologico più complesso che esista, almeno su questo pianeta. Ha 80 miliardi di neuroni. Ciascuno dei quali può avere fino a 10.000 connessioni con altri neuroni. Custodiscono i segreti del processo cognitivo, della coscienza e consapevolezza, dei sensi. Ora, per la prima volta, possiamo veramente capire il cervello, trattarlo come un iPhone: smontarlo, osservare le proprietà dei circuiti interni, dei semiconduttori. Ma il cervello non è un iPhone, è complesso da capire quanto l’intero universo. Oltretutto, cambia nel tempo: non solo cambia con le età umane, ma cambia dalla mattina alla sera. È quello che noi definiamo la sua plasticità».
Per contenere i laboratori dove fanno ricerca Ngai e i suoi collaboratori, qui gli hanno dedicato un edificio, la Life Sciences Addition. E questo è solo uno dei tanti luoghi cruciali di una missione collettiva, a cui partecipano altri dipartimenti sia dentro il campus di Berkeley (tra cui l’edificio donato dal magnate cinese Li Ka Shing), sia in cooperazione con altre sedi californiane: University of California-Santa Cruz, University of California-San Francisco. Un’emulazione competitiva, che ogni tanto fa scintille con cause giudiziarie sui brevetti, oppone questi campus californiani a quelli della East Coast come Harvard e Columbia. Tutti in gara per una fetta di finanziamenti pubblici e privati destinati a crescere in modo esponenziale, via via che si toccano i frutti di questa rivoluzione.
«I benefici concreti? Certo — dice Ngai — sono questi che interessano il pubblico, i suoi lettori, il mio governo. Parliamo di cure, allora. Guarire il Parkinson, l’Alzheimer, la demenza senile? Oggi non ha più senso chiedersi se sarà possibile. L’unica domanda è: quando sarà possibile. Nell’arco di una sola generazione noi passeremo dai sogni alla realtà. Fin qui, la nostra medicina è stata uno strumento talora efficace, ma spesso rudimentale, un po’ rozzo. Soprattutto perché era costretta a intervenire sulle malattie dopo la loro manifestazione. La nuova frontiera, è impedire che le malattie appaiano. L’accelerazione delle nostre conoscenze è formidabile, impressionante: le sto parlando di cose che hanno cominciato a succedere solo negli ultimi due anni. Siamo in una di quelle fasi che da queste parti gli economisti chiamano disruptive, dirompenti. Per questo di colpo l’interesse si sta accendendo in tutti gli angoli del pianeta. Giappone, Cina, Unione europea, in molti vogliono salire in corsa su questa missione. Hanno capito che sarà un po’ come il programma Apollo degli anni Sessanta e Settanta. Andare sulla luna non aveva molto senso, era quasi una follia. Ma molte delle nuove tecnologie che hanno cambiato la nostra vita, nacquero allora ».
Disruptive, dirompente: ancora pochi anni fa era un neologismo, oggi nella Silicon Valley è l’aggettivo che s’infila in ogni conversazione. Il sogno dell’immortalità? È un’estrapolazione estrema, tipica di una terra californiana abituata agli eccessi. Ma dietro questa semplificazione, dietro l’eccentrico e il romanzesco, il capitalismo digitale ha subodorato che gli uomini in camice bianco chiusi nei laboratori delle università hanno in serbo qualcosa di molto grosso. ( 1 — segue)