Repubblica 16.5.15
Il bivio del premier davanti ai ribelli Pd
Il nodo del Partito della Nazione: perde a sinistra non sfonda a destra
Il voto ex berlusconiano non si dirige verso il Pd
E l’area del malcontento resta il serbatoio di Lega e 5Stelle
di Stefano Folli
LA CRONACA è amara in questi giorni per il capo del governo. La scuola, le pensioni, le polemiche sugli “impresentabili” nelle liste elettorali descrivono un mese di maggio pieno di spine. Al contrario, l’incoraggiamento di Standard&Poor’s, ossia il giudizio positivo di una delle grandi agenzie di “rating” sulle riforme fatte fin qui, è una spinta importante per Renzi. Il suo profilo di leader riformatore ne esce rafforzato ed è questo che conta: all’estero, ma soprattutto nell’opinione pubblica interna.
Il presidente del Consiglio riceve molte critiche, ma anche i suoi avversari gli riconoscono l’impegno dinamico a favore delle riforme. Anche chi non apprezza il merito dei provvedimenti — e lo dimostrano le tensioni sulla scuola — riconosce al premier una volontà di agire al limite della caparbietà: caratteristica essenziale per definire un progetto politico. Eppure gli interrogativi non mancano, più di un anno dopo l’inizio dell’era Renzi. Interrogativi che non trovano risposta, ma che sembrano turbare l’ex sindaco di Firenze. Il quale dà a volte l’impressione di correre, correre sempre e spesso in solitudine, perché non può fermarsi. A meno di non voler disperdere il lavoro svolto fino a oggi.
È questione che non riguarda l’agenda del governo, le riforme approvate e quelle da completare, il “Jobs Act” e la pubblica amministrazione, ma tocca un nodo strategico: lo spazio politico, elettorale e persino culturale del “partito della nazione”, la formazione renziana nell’anima e nel profilo pubblico che dovrebbe di fatto sostituire il vecchio Pd. Qualcosa che ha a che fare con i voti, quelli presi in passato e quelli da prendere in futuro.
Sotto questo aspetto non tutto va come Renzi aveva previsto. Al 40 per cento e oltre delle elezioni europee si sovrappone oggi un 37-38 per cento vaticinato dai sondaggi. Non è poco, ma è anche vero che i consensi al Pd e al suo leader arrivano in assenza di un competitore credibile e in grado di sfidarlo sul terreno del governo. Significa che il quadro generale meno negativo di un anno fa (le risorse finanziarie messe in campo dal Bce, l’economia che offre timidi segnali di risveglio, la recessione forse finita) non si traduce in una forte e definitiva avanzata dal partito di Renzi come nuova forza egemone. Al contrario, il progetto politico incontra gravi ostacoli.
Sembra che il premier non riesca a scegliere fra due opzioni. La prima prevede una ricomposizione all’interno del Pd con la minoranza oggi marginale e carica di rancore. Si potrebbe pensare a un’intesa di cornice, un vero e proprio patto da rinnovare, volto a facilitare lo sforzo comune in favore delle riforme. Una simile iniziativa, privilegiando i problemi del Pd e del centrosinistra, rallenterebbe il percorso verso il “partito della nazione”. Che infatti è un’altra cosa. È l’idea di una formazione leggera e trasversale, molto aperta verso il centro e anche il centro-destra, che sconta di perdere una costola a sinistra, ma non se ne cura troppo. Infatti ritiene di ereditare i consensi dei centristi e del mondo berlusconiano in disarmo. É proprio questo disegno a suscitare oggi qualche perplessità. Si capisce che il Pd sta perdendo qualcosa alla sua sinistra e non solo per via di Civati e Fassina. Il punto è che i voti persi non sono compensati dai consensi che provengono dall’area di centrodestra. Quindi è il “partito della nazione” a correre dei rischi. Il voto ex berlusconiano non confluisce in misura massiccia verso Renzi, semmai si disperde in mille rivoli o finisce nell’astensione. E chi continua a crescere nei sondaggi sono le due liste di Grillo e Salvini che raccolgono il malcontento e offrono un punto di riferimento anche alla destra.
Il partito di Renzi per ora è il Pd senza la costola di sinistra e invece con un parziale sostegno delle liste minori di centro. Ma lo sfondamento trasversale verso il centrodestra non c’è o non c’è ancora. Le elezioni regionali saranno il banco di prova per capire se il progetto è ancora valido, o invece se è stato un errore aprire un conflitto così aspro a sinistra.