venerdì 15 maggio 2015

Repubblica 15.5.15
E i dissidenti del Pd tornano in trincea
“Se la riforma non cambia noi non la votiamo”
di Annalisa Cuzzocrea


ROMA Chiedono cambiamenti su tre punti: poteri del preside, finanziamento privato, precari da assorbire. Promettono collaborazione ed emendamenti nel merito, tanto alla Camera quanto al Senato. Ma proprio sulla scuola, su uno degli argomenti più di sinistra che si possa immaginare, alcuni di loro (Fassina, D’Attorre) sono pronti allo strappo finale.
La minoranza pd si è riunita ieri per la prima volta dopo lo smacco dell’Italicum. Non erano tutti. Una parte, dopo il voto di fiducia sulla legge elettorale, sta prendendo altre strade. Ma c’erano, in sala Berlinguer alla Camera, una cinquantina di volti preoccupati. Perché tocca combattere di nuovo, e la sconfitta è troppo recente per capire com’è meglio farlo. Così, i leader di Area riformista e Sinistra dem Roberto Speranza e Gianni Cuperlo cercano di tenere viva l’idea di una battaglia che si può vincere. O che comunque, bisogna portare fino in fondo per tentare di cambiare una legge che non piace a nessuno di loro. È la stessa visione dell’ex premier Enrico Letta: «La riforma della scuola ha bisogno di gradualità, non di fretta — ha detto al salone del libro di Torino — se l’impegno di Renzi si applicasse anche a fare le cose perbene l’Italia se ne potrebbe giovare, ma nessuno glielo dice perché i politici sono condizionati dalla necessità di avere uno stipendio». E ancora: «Si è voluta fare una cosa molto di corsa, molto di fretta, senza rendersi conto che si toc- cano milioni di famiglie, bambini e insegnanti».
È sui numeri, che vuole soffermarsi chi cerca di convincere il premier ad ascoltare: «A fare sciopero sono state 618mila persone », dice l’ex capogruppo Roberto Speranza. «Hanno rinunciato a un giorno di stipendio, a 70, 80, 90 euro. Davanti a questo, non puoi buttarla sulla burocrazia, sui sindacati. È una roba di popolo, una grande parte del nostro popolo che chiede una risposta». Le soluzioni le hanno messe in una ventina di emendamenti che toccano quattro punti fondamentali: «Il primo è il ruolo del preside — spiega sempre Speranza — in commissione si è già modificata la parte sulla stesura del piano di offerta formativa, su cui avranno voce in capitolo anche il collegio dei docenti e il consiglio d’istituto. Ma c’è ancora da cambiare la chiamata degli insegnanti, anche quella dev’essere più condivisa. Lo ha detto bene Carlo Galli: la filosofia di questa riforma fa male ai docenti perché un preside così forte ridurrà il loro spazio di autonomia. Quel che era rimasto ai professori italiani, mal pagati, senza un adeguato riconoscimento sociale, è una libertà di espressione ora in pericolo ». La parte su cui si lavora con più attenzione è quella della possibilità di donare il 5 per mille alla scuola dei propri figli: «La cosa grave è che questa norma non fa neanche riferimento a risorse aggiuntive — spiega Stefano Fassina — così, soldi del fondo riservato alla scuola vengono redistribuiti sulla base delle dichiarazioni dei redditi dei più ricchi». La conseguenza, a lungo andare, sono scuole migliori nelle zone più agiate e scuole povela re nelle periferie. «Non è una cosa che un partito di sinistra può permettere», si sfoga Speranza. Così, la prima modifica tentata sarà cancellare l’intero articolo. Mentre un secondo emendamento propone di ribaltare le percentuali: non più l’80 per cento alla scuola e il 20 al fondo di perequazione, ma il contrario. Infine, c’è la questione dei precari, con la richiesta di un percorso di entrata certo per chi resta fuori dalle 100mila assunzioni. E ci sono gli sgravi per le private: «Darli anche alle scuole secondarie significa incentivare i diplomifici, alla faccia della meritocrazia».
Ma che succede se il governo chiude la porta? Deputati come Stefano Fassina e Alfredo D’Attorre hanno fatto capire di essere pronti a votare no alla riforma. Gli altri potrebbero non partecipare, o astenersi. Qualcuno ha anche proposto di votare sì con un documento che spieghi cosa va cambiato, sperando nelle modifiche al Senato. Ma è una linea poco chiara, che tutti vorrebbero evitare. Chi conosce Fassina pensa a un addio imminente: «Il voto finale è mercoledì, credo che dopo mollerà. Stefano è ormai convinto che sia impossibile far vivere un punto di vista di sinistra dentro questo Pd». La stessa voce comincia a girare su Alfredo D’Attorre, che sulla riforma è forse il più duro: «Renzi una volta ha detto che è giusto che ci siano università di serie A e di serie B. Ed è questo che sta mettendo in campo: una sorta di competizione darwiniana tra i diversi istituti che non credo sia compatibile con l’idea di scuola pubblica. Per come la vedo io, autonomia significa raggiungere obiettivi condivisi, non far aumentare le diseguaglianze».