martedì 12 maggio 2015

Repubblica 12.5.15
Diagnostica.
Molte le analogie tra il ragionamento clinico e i metodi
investigativi della letteratura gialla. E le qualità del detective ideale, osservazione, deduzione e conoscenza (Conan Doyle), dovrebbero ispirare il lavoro di ogni sanitario
Se il medico indaga come Sherlock Holmes
di Claudio Rapezzo


Il romanzo poliziesco e la moderna indagine medica esplodono insieme, dalla metà dell’800
Il festival
Questo articolo è la sintesi di una delle relazioni al Festival della Scienza Medica che si è svolto a Bologna, dal 7 al 10 maggio

INUN ’EPOCA della medicina caratterizzata dal ricorso sempre più “routinario” alle tecnologie diagnostiche, il ragionamento medico appare in crisi. Il rischio, oltre che di spendere una quantità eccessiva di denaro pubblico e privato, è di rendere approssimativo l’iter diagnostico del paziente coi relativi danni umani. Una breve riflessione sulle analogie fra il ragionamento diagnostico in medicina e i metodi investigativi della letteratura “gialla” potrebbe contribuire alla “causa” del metodo clinico, e quindi a migliorare la prestazione sanitaria. E la salute di tutti.
Le analogie fra metodo clinico e scienza dell’investigazione, fra grandi clinici e grandi detective, nonché i richiami incrociati fra medico e detective, fra crimine e malattia sono abbondantemente presenti nella letteratura, nel cinema e nella televisione. Sia il medico sia il detective hanno, come finalità principale del loro agire, l’identificazione del colpevole di una situazione abnorme e pericolosa (la diagnosi della malattia da un lato, l’identificazione dell’assassino dall’altro). Per arrivare a ciò, entrambi debbono, inoltre, reperire, archiviare e “gestire” una notevole quantità di informazioni sia tecnico- scientifiche, sia di cultura generale.
Il periodo storico e la classe sociale di riferimento dei due ambiti coincidono. Il poliziesco vive il suo momento di grande splendore nella seconda metà del XIX secolo, nel clima di fiducia nelle illimitate possibilità della scienza. Nello stesso periodo, la medicina registra l’affermarsi del più classico dei paradigmi indiziari, quello imperniato sulla semeiotica medica, la disciplina che consente di diagnosticare le malattie “interne” e quindi inaccessibili all’osservazione diretta, attraverso la valorizzazione di “segni” che, insignificanti agli occhi del profano, possono essere decifrati soltanto dall’esperto e lo conducono alla diagnosi finale.
Ma medicina e romanzo poliziesco sono collegati anche da rapporti strettamente letterari nonché da uno scambio (letterario) di ruoli. La storia della letteratura poliziesca è ricca di figure di medici: medici che indagano in prima persona, che affiancano i detective professionisti come esperti (in genere anatomo-patologi), medici assassini e medici vittime. Per non parlare dell’ampio bagaglio tecnico medico-scientifico a cui gli autori classici del poliziesco hanno spesso attinto per escogitare soluzioni raffinate per delitti sempre più sofisticati.
Per usare le parole che Sir Arthur Conan Doyle fa pronunziare a Sherlok Holmes ne Il Segno dei Quattro : «Tre sono le qualità necessarie al detective ideale, capacità di osservazione, deduzione e conoscenza». Questa affermazione è, di fatto, il manifesto ideologico di tutta la letteratura poliziesca, a forte matrice anglosassone, che si sviluppa fra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento, impersonata dai detective classici dell’epoca aurea del “giallo”: Auguste Dupin, Sherlock Holmes, Miss Marple, Hercule Poirot. Se queste tre caratteristiche continuano a rappresentare i pilastri fondamentali del ragionamento investigativo, emerge progressivamente nella letteratura poliziesca del Novecento l’importanza di altre due qualità: la capacità di ricostruzione psicologica e ambientale della vittima (teorizzata sia dal Maigret di Simenon sia da Padre Brown di Chesterton) e la capacità di percepire le incongruenze all’interno della scena del crimine (è il caso tipicamente del Tenente Colombo di Levinson & Link).
Come nel caso dell’investigatore, anche in quello del clinico “ideale” si realizza, o si dovrebbe realizzare, una fusione armonica fra tutti i modelli investigativi delineati in precedenza. Questa evenienza è però decisamente rara. I modelli proposti recentemente dal cinema e dalla fiction televisiva non sono necessariamente positivi. Il caso più emblematico è quello del Dr. House. Se da un lato lo schema mentale adottato per arrivare alla diagnosi è molto simile a quello di Sherlock Holmes, basato sulla valorizzazione di segni fisici “patognomonici” e sul ragionamento abduttivo, il modello clinico proposto è quello di un medico che preferisce occuparsi soltanto dei casi più rari e difficili, mentre gli altri pazienti sono per lui fondamentalmente una perdita di tempo.
* Direttore U-O Cardiologia, Policlinico Sant’Orsola, Università degli Studi di Bologna