lunedì 11 maggio 2015

Repubblica 11.5.15
Mikhail Khodorkovsky
“Putin non è un mostro come Stalin ma il regime non cambierà senza sangue”
di Jorg Eigendorf e altri


Credo che porterà a termine il suo mandato. Dopo di lui le cose non potranno che migliorare. È pronto alla repressione, ma non ne ha tutto questo desiderio
Pericolosa è la situazione ai confini Penso all’Ucraina e alla Cecenia Il rientro dei combattenti nazionalisti potrebbe rendere esplosiva la situazione in patria

IN Russia gran parte dei poteri dello Stato si concentrano nelle mani di Vladimir Putin. Signor Khodorkovsky, il presidente è davvero così potente?
«Il potere di gestione diretta di Putin è limitato. Ha autonomia rispetto a una grave crisi, si può occupare personalmente di due crisi alla volta, anche serie. Il sistema autoritario offre questo vantaggio, ma ha anche enormi svantaggi. Putin non è in grado di risolvere più problemi in contemporanea. In un paese in cui le normali istituzioni statali sono state annientate – mi riferisco alla magistratura indipendente, al Parlamento, alle autonomie locali – chi detiene il potere non è più in condizione di gestire problematiche sociali complesse. Il nostro è uno Stato supercentralizzato, ma debole».
Da quando il leader dell’opposizione, Boris Nemzov, è stato assassinato, in Russia si fa un gran parlare del conflitto tra il presidente ceceno Ramsan Kadyrov e le strutture di sicurezza di Mosca. Quanto c’è da preoccuparsi?
«Si tratta di un conflitto sistemico. Quando l’economia è in crisi si sviluppano conflitti tra i vari gruppi in lotta per gli ambiti di esercizio del potere e le fonti di denaro. Kadyrov vuole maggiore autonomia per la sua struttura vassalla in Cecenia, senza rinunciare a essere un fedelissimo di Putin. Il gruppo di Kadyrov rappresenta una criminalità etnica che entra in conflitto con lo Stato russo, in sé e per sé debole. Quelli che dovrebbero realmente difendere la legalità non possono immischiarsi, perché la gente di Kadyrov gode della protezione di Putin. Il presidente russo è il loro massimo protettore ».
Putin mantiene il controllo su questi gruppi oppure in realtà ne è diventato ostaggio?
«Sono certo che Putin fosse tutt’altro che lieto dell’assassinio di Nemzov».
La morte di Nemtsov va letta come prova di debolezza del sistema?
«Senza dubbio. L’assassinio di un membro dell’élite politica a poca distanza dal Cremlino sferra un colpo all’intoccabilità delle strutture del potere, il che comporta un ulteriore indebolimento dei suoi meccanismi. Ogni burocrate ormai, di fronte a una decisione da prendere, è portato a pensare: rischio che Putin mi sollevi dall’incarico, ma la gente di Kadyrov può farmi fuori».
Che rischi corre Putin? E‘ possibile una rivolta di palazzo?
«Un’evenienza del genere è possibile solo se le strutture di sicurezza sono coinvolte nel conflitto. Altrimenti no, non c’è la capacità da parte di altri attori. Come dimostra la situazione con Kadyrov, un conflitto del genere può tranquillamente insorgere».
Sono in molti a temere che dopo Putin la situazione peggiori ulteriormente.
«Credo che Putin porterà a compimento il suo mandato. Dopo di lui le cose potranno solo migliorare. Putin è pronto a inasprire la repressione, ma non ne ha tutto questo desiderio. Non è un mostro. È consapevole che una repressione eccessiva gli si ritorcerebbe contro. Dovrebbe essere pronto anche a procedere a purghe tra le élite. Sotto Stalin il due per cento della popolazione fu vittima di coercizione e violenze per mano dello Stato, tra le strutture di sicurezza addirittura un componente su quattro. Putin è pronto a una cosa del genere? Ne dubito».
Reputa possibile che in Russia nella situazione attuale si arrivi a un cambiamento al vertice senza ricorso alla violenza?
«Non si avrà un cambio di regime senza spargimento di sangue. Migliaia di persone sanno di dover rispondere personalmente delle azioni compiute sotto il regime di Putin. Ma il problema in Russia non è in realtà il cambiamento radicale, che senza dubbio avverrà nell’arco delle nostre vite. Ben più pericolosa è la situazione che si è creata ai confini della Russia a motivo della politica del regime. In Ucraina orientale si sta costituendo un esercito di sciovinisti nazionalisti che trova anche in Russia sempre più accoliti, e siccome Putin ha fatto concessioni al suo vassallo Kadyrov nella Repubblica di Cecenia, quest’ultimo cerca di garantirsi sempre maggiore autonomia. Se in Russia queste forze si scontrano sarà davvero pericoloso, perché si potrebbe andare alla guerra civile».
Dopo la morte di Nemtsov l’opposizione in Russia si è ulteriormente indebolita. Si può fare un paragone con i dissidenti ai tempi dell’Unione Sovietica?
«No, persino nella situazione attuale il 14 per cento dei russi dichiara ancora apertamente di non sostenere il regime. Il movimento di opposizione conta su una base pari al 10-15 per cento della popolazione. E potrebbe estendersi ulteriormente».
Come vede la situazione in Ucraina, più tranquilla o è solo un’apparenza?
«Vorrei poter credere che il conflitto non veda una nuova escalation, ma è molto poco probabile che sia così. Il grande punto interrogativo però è se i paramilitari russi si ritireranno dall’Ucraina orientale e i separatisti non saranno più sostenuti da Mosca. È proprio questo il pericolo per il regime in Russia, il rientro dei combattenti renderebbe esplosiva la situazione in patria. Putin farà il possibile perché i paramilitari russi restino in Ucraina Orientale».
E‘ inutile quindi sperare nell’accordo Minsk-2 ?
«Chi in Occidente sostiene che sia possibile arrivare a un accordo a lungo termine con il regime attuale o è stupido o è un impostore. Non bisogna certo interrompere i colloqui con la Russia, ma la speranza di realizzare un accordo credibile è illusoria, perché la leadership è de-istituzionalizzata». @Die Welt / L-ENA, Leading European Newspaper Alliance Traduzione Emilia Benghi