Repubblica 10.5.15
Equitalia e stipendi statali mine da 15 miliardi sui conti nuovo bivio alla Consulta
Dopo la sentenza sulle pensioni la Corte Costituzionale deve decidere sull’aggio dell’8% per la riscossione e sul blocco degli aumenti nella Pa
di Roberto Pietrini
ROMA La mina delle sentenze della Corte costituzionale sui conti pubblici rischia di esplodere ancora. Mentre i tecnici del Tesoro e di Palazzo Chigi stanno faticosamente tentando di individuare una soluzione al buco di oltre 17 miliardi per la restituzione delle mancate indicizzazioni ai pensionati, altri rischi si profilano all’orizzonte. Anche in questo caso stanno venendo al pettine i nodi delle scelte di finanza pubblica fatte durante la crisi e la Corte è chiama da decidere sui numerosi ricorsi. In prima linea, per importanza, c’è quello del 23 giugno: tra poco più di un mese la Consulta sarà chiamata a stabilire se il blocco degli stipendi del pubblico impiego, valutato in 5 anni di 12 miliardi, è più o meno legittimo. La Corte si è già espressa su questo tema in passato: allora bocciò i ricorsi spiegando che l’emergenza economica poteva giustificare i sacrifici, ma «per un tempo limitato». Ora sono passati altri due anni, nuovi ricorsi sono giunti sul tavolo della Corte, e dunque il «tempo limitato » potrebbe essere ritenuto trascorso e la sentenza potrebbe imporre la restituzione. La partita non finisce qui perché nei prossimi giorni la Corte sarà chiamata a decidere se l’aggio dell’8 per cento chiesto da Equitalia sulle somme riscosse a ruolo sia legittimo o meno (costo 2-3 miliardi). Si attende anche un nuovo pronunciamento sulle pensioni: si tratta di quelle veramente d’oro, oltre 14 volte il minimo, circa 90 mila euro, sulle quali il governo Letta ha reintrodotto il contributo di solidarietà.
Dopo le polemiche si cominciano a tirare le somme. L’idea è quella di Padoan di «minimizzare » i costi rispettando nel contempo Consulta e Bruxelles. Quadratura non facile che richiede la scelta, peraltro implicitamente prevista dalla Corte, di tutelare i redditi più bassi dall’inflazione o di prevedere una restituzione per fasce. Le ipotesi sul tavolo vanno dunque dalla fissazione di una soglia oltre la quale non si restituisce nulla (potrebbe essere cinque volte il minimo, cioè circa 2.300 euro), accontentando così circa la metà degli oltre 5 milioni aventi diritto, all’altra opzione che prevede una indicizzazione per «scaglioni»: piena sotto i 1.400 euro, e via a via sempre più ridotta al salire dell’assegno (da tre a quattro volte il minimo il 95% fino al 50% da 5 a 6 volte il minimo). In entrambe le soluzioni gli arretrati potrebbero essere restituiti a rate ai pensionati.
La soluzione «parziale» scelta dal governo, con relative gradazioni, è imposta dall’equilibrio del bilancio pubblico e dalle regole europee. Sebbene la Commissione abbia fatto capire che non vuole tenere il fiato sul collo dell’Italia sulla grana previdenziale, il percorso di rientro del deficit nominale (il famoso 3%) è a rischio. L’intero ammontare del “pacchetto” previdenziale da restituire - arretrati più nuovi assegni totalmente all’intera platea - è di circa 17 miliardi. Di questi, 8,7 sono gli arretrati della mancata indicizzazione 2012-2013 e 2014-2015 (primi cinque mesi) dove l’indicizzazione va integrata: il calcolo va rifatto con una base più alta e bisogna verificare i consuntivi dei tassi d’inflazione. Per i sette mesi del 2015 che abbiamo di fronte, con la sentenza esecutiva, i nuovi assegni dovranno portare con sé tutti i calcoli integrativi: il costo è di 1,9 miliardi. A regime, 2016-2017, il costo sarà di 3,4 miliardi all’anno.
La cifra critica è rappresentata dagli 8,7 miliardi di arretrati e l’1,9 dell’incremento degli assegni per quest’anno. Si tratta di 10,6 miliardi che porterebbero il deficit nominale del 2015, attualmente al 2,5% tendenziale (2,6 come obiettivo) intorno al 3%. Mentre il deficit strutturale, che è al netto delle una tantum quali sono gli arretrati, risentirebbe solo parzialmente dell’effetto-Consulta e non sarebbe ostacolato più di tanto il cammino verso il pareggio di bilancio. L’opzione potrebbe essere di ricorrere in parte al deficit, in parte a nuove coperture e in parte alla minore spesa per interessi dello 0,1% del Pil già messa in bilancio per quest’anno.