lunedì 4 maggio 2015

La Stampa 4.5.15
A Ceuta fra i migranti in marcia dall’Africa ai confini dell’Europa
Un muro lungo 8 chilometri ferma algerini e subsahariani Ma nell’enclave spagnola il rischio viene dai jihadisti locali
di Francesco Olivo


Una valle, una baia, un doppio recinto e una frontiera non proprio impenetrabile. «Benvenuti a Ceuta», recita il cartello all’entrata dell’enclave spagnola in Marocco, estremo sud dello stretto di Gibilterra, terra, più di ogni altra, di confine, l’unico che l’Europa ha con l’Africa (insieme con la gemella Melilla, 400 chilometri più a ovest). Un lembo di terra a un’ora di traghetto dalla penisola iberica. Ma qui non si arriva soltanto con una barca di linea e non tutti sono benvenuti: i subsahariani e gli algerini attraversano il deserto, le montagne e sbucano poi nella valle di Ceuta, trovandosi davanti a otto chilometri di recinto. La polizia spagnola ha l’ordine di spedire al di là del confine le persone sorprese a scavalcare, le chiamano «devoluciones en caliente», (restituzioni a caldo) pratiche considerate illegittime dall’Ue e da numerosi giuristi. Un anno fa una strage, 15 morti, è stata attribuita proprio ai respingimenti della Guardia Civil. Quelli che sfuggono, due ci sono riusciti sabato scorso, vengono chiusi nel centro di identificazione e spediti in Spagna. La Croce Rossa e l’Agenzia Onu per i rifugiati (Unhcr) hanno un gran da fare, ma i numeri di Ceuta sono lontani da quelli di Lampedusa: nel 2014 gli arrivi sono stati 662, nel 2013 1579, un anno prima 624.
La nuova minaccia
Il fenomeno non si arresta, anzi, ma nell’enclave non si respira un clima d’assedio. La frontiera, però, non divide soltanto l’Europa dai migranti, ma soprattutto il vecchio continente dalla minaccia, quella sì, del radicalismo religioso. Immigrazione e jihadismo non si toccano, «non si è verificato nemmeno un caso di affiliazione tra quelli che provano a entrare illegalmente», dicono dalla Policia Nacional. Gli imam radicali e gli aspiranti combattenti pronti a partire per la Siria fanno più paura.
L’ultimo che hanno preso lavorava in una gelateria italiana, «da sette anni, mica da ieri. I jihadisti non me li immaginavo così». Daniela Millifanti, lombarda, trapiantata da anni a Ceuta, ancora non se ne capacita, ma una mattina di due mesi fa si è presentato nel suo locale il figlio di Mohammed, dipendente modello: «Papà è stato arrestato all’alba». Adesso è detenuto a Madrid, accusato con il fratello di essere un affiliato dell’Isis, reclutato per compiere attentati in Spagna.
I commerci
Ceuta appartiene praticamente da sempre alla madre patria, «sin dai tempi dei romani, poi dei visigoti – racconta il vicario del vescovo di Cadice, Juan José Mateo – eravamo legati alla Spagna anche durante il califfato di Cordoba». Già, il califfato. La frontiera con il Marocco non è proprio impenetrabile, ogni giorno sono in trentamila a varcarla per commerci informali di ogni tipo (non c’è una dogana, perché il re non riconosce la sovranità di Madrid). Così, «se per molti anni al di là del confine reclutavano gente di qui per far entrare l’hashish, ora penetra la guerra santa», racconta un investigatore. Il cameriere della gelateria Firenze è solo uno degli ultimi presunti terroristi, «i nostri numeri sono più bassi di quelli di Barcellona», analizza l’astro nascente dei socialisti dell’enclave, José Antonio Caracao.
Nessuna tensione
Ceuta non appare terrorizzata più di tanto. Lo spirito cosmopolita perdura, per strada regna il caos tipico di una città araba, mischiato ai bar di tapas. La popolazione è divisa praticamente in parti eguali: metà cristiani, metà musulmani, molto minoritari ebrei e indù. Tutti hanno passaporto spagnolo e la convivenza è in effetti pacifica: la sinagoga del centro è stata restaurata da manovali islamici e i musulmani portano fiori alla Vergine. Roba impensabile qualche chilometro più in là. D’estate arrivano persino i mormoni dall’America, si mettono ai semafori a consegnare migliaia di copie della Bibbia in arabo, sperando che la parola di Dio varchi il confine. Ma l’equilibrio è a rischio: i musulmani, infatti, pur rifiutando nella grande maggioranza il radicalismo, vivono spesso in condizioni disagiate. Molti risiedono nel quartiere «il Principe», uno dei più pericolosi d’Europa (o del Nordafrica) dove dopo il tramonto nessun cristiano passa e nelle cui case vivevano tutti i presunti affiliati all’Isis.
A meno di un chilometro dal Principe c’è il confine, secondo solo a Corea e Gaza per dislivello economico. Gli abitanti della provincia di Tétouan possono entrare liberamente, ma non hanno il permesso di prendere il traghetto per Algeciras, il porto dell’Andalusia.
Madrid guarda qui con preoccupazione, specie per la presenza fugace di qualche imam estremista: «I nostri uomini sono aumentati - racconta Roberto Franca, della delegazione del governo a Ceuta - gli arresti mettono paura alla gente, ma non creano conflitti sociali». Gli specialisti concordano sul fatto che una rete jihadista operi al confine. Al Principe, intanto, alle 13 comincia la partita di calcio, nella squadra dei verdi manca il numero 14, lo hanno arrestato per strane affiliazioni, «come terzino non era poi così radicale».