La Stampa 31.5.15
Più tasse e detrazioni a rischio
Il Tfr in busta paga è un flop
Ad aprile su un milione di lavoratori soltanto 576 dipendenti cioèlo 0,05 per cento ha aderito
di Sandra Riccio
Doveva essere una boccata d’ossigeno per molte famiglie italiane e un altro volano per la ripresa economica invece, nella pratica, si è rivelata un vero e proprio flop. L’operazione Tfr in busta paga finora è “invisibile” con una quota di lavoratori che hanno chiesto di poter avere l’anticipo della liquidazione sotto lo 0,1%. I numeri arrivano dalla Fondazione consulenti del lavoro che, su un primo campione di un milione di dipendenti, ha contato appena 567 richieste di Tfr anticipato, pari allo 0,05% del totale. E’ vero che la norma è entrata in vigore da poco, ad aprile, ma la percentuale infinitesima rivela che non c’è molto margine perché possa crescere ancora. Eppure nella relazione tecnica della legge di stabilità il governo aveva ipotizzato che, a regime, la norma potesse interessare circa il 40-50% dei lavoratori destinatari dell’operazione.
La fiscalità
Molti, in tempi di crisi, hanno ragionato sull’opportunità di avere qualcosa da parte per ogni evenienza e non hanno voluto rinunciare all’ultima ancora di salvezza rimasta, quella della liquidazione. A convincerli è stata però soprattutto la fiscalità sfavorevole decisa sul Tfr in busta paga rispetto alle opzioni di lasciarlo in azienda o di investirlo in un fondo pensione. Il prelievo fiscale sull’anticipo della liquidazione è, infatti, a tassazione ordinaria e vuol dire che si pagano imposte che vanno da un minimo del 23% a un massimo del 43%, a seconda della fascia di reddito in cui ci si trova. Per fare un esempio, un reddito di 25 mila euro paga una fiscalità dal 9 al 15% per il Tfr nei fondi pensione, intorno al 25% in azienda e del 30% in busta paga. Come se non bastasse, il Tfr in busta, cumulandosi al reddito prodotto, incide negativamente anche sulle detrazioni d’imposta, tipo no tax area, assegni e detrazioni per familiari a carico. A questo si aggiunge il fatto che, aumentando il reddito, si rischia di alzare anche quello Isee, che serve a determinare chi ha diritto e chi no a tutta una serie di prestazioni sociali, come asili nido o le rette scolastiche.
La conferma del freno del Fisco arriva dalle interviste fatte dalla Fondazione consulenti del lavoro a un campione significativo di coloro che hanno deciso di non chiedere l’anticipo. E’ emerso, infatti, che la decisione è stata dettata prevalentemente dalla penalizzazione fiscale (il 60% ha risposto che ha deciso di non chiedere il Tfr perché la tassazione ordinaria è troppo penalizzante). Il 16% ha considerato sbagliato togliere il Tfr dal fondo pensione mentre il 20% non ha ancora valutato adeguatamente.
Chi aderisce al Tfr in busta
Tra i pochi che si sono fatti avanti prevalgono i redditi bassi mentre soltanto il 10% di coloro che hanno chiesto l’anticipo ha tolto il Tfr da un fondo pensione. Sulla base delle elaborazioni dei consulenti, un quarto dei 567 lavoratori che hanno chiesto l’anticipo in busta paga ha redditi fino a 20mila euro, il 50% guadagna fino a 30 mila euro mentre appena il 6,25% ha un imponibile superiore ai 40 mila euro annui. In cambio si sono assicurati più liquidità in tasca che, anche qui, è proporzionale al reddito. Fatti due conti, il Tfr in busta ha portato 76 euro in più al mese a chi non va oltre i 18 mila euro annui, 97 euro mensili a chi ne guadagna 23 mila, 105 a chi ne prende 25 mila e 125 a chi ha un reddito di 35 mila.