sabato 30 maggio 2015

La Stampa 30.5.15
Flirt, virtù e debolezze
La vita “normale” di Allende
La nipote del presidente cileno racconta per la prima volta in un film premiato a Cannes com’era stare accanto all’uomo considerato un mito
di Filippo Fiorini


Sono certamente più di venti, ma non esiste un dato certo sul numero di film che raccontano il golpe in Cile del 1973. Nonostante i molti precedenti, però, il cortometraggio «Allende, mio nonno Allende» ha appena vinto il premio come miglior documentario a Cannes, conquistando la giuria attraverso il racconto del lato più umano del presidente socialista spodestato dal generale Augusto Pinochet. Per farlo, Marcia Tambutti Allende, regista e nipote del protagonista, ha cercato soprattutto tra i membri della sua famiglia, trovando in loro una straordinaria resistenza a parlare, ma anche episodi di vita vissuta rimasti segreti per anni.
Le scoperte
«Oggi ho visto una cosa sensazionale: una foto del nonno in spiaggia», afferma in una scena. «E perché sarebbe così sensazionale?», le risponde la nonna Hortensia Bussi, vedova del presidente. «Perché non l’avevo mai visto in costume». Se tutti i cileni conoscono a memoria le fattezze della statua di Plaza Constitucion a Santiago, così come la frase con cui Allende si congedò dal Paese prima di suicidarsi nel palazzo presidenziale assediato («Non temete, presto torneranno ad aprirsi i grandi viali per cui cammina l’uomo libero»), pochi hanno avuto accesso alla sua sfera più intima.
Mentre i militari distruggevano foto, lettere e registrazioni, la sinistra mondiale creava il mito sulla base della figura pubblica: mezzo busto in giacca e cravatta, braccio alzato e quintali di libri sull’eredità ideologica. Sotto a tutto questo restavano gli interrogativi su una vita straordinaria divisa tra eroismo e banalità: come vivevano in casa la sua relazione con la segretaria e amante, Miria Conteras? «Adorava flirtare», dice la moglie.
Che fine ha fatto l’atto d’indipendenza del Cile dalla Spagna? Datato 1818, probabilmente sequestrato alla Contreras il giorno del golpe e distrutto da un soldato. Per fare luce tra i ricordi, ci voleva per forza un Allende. Isabel, per esempio, omonima di sua cugina, la scrittrice, parlamentare e segretario del Partito Socialista come fu suo padre, non ne ha mai voluto parlare. Nel documentario, la si vede camminare cocciuta in giardino, mentre la figlia Marcia la insegue incalzando con le domande.
Secondo Mirta, un’altra nipote, «tutto questo tabù è dovuto al loro dolore». La fine del sogno rivoluzionario, la morte del capofamiglia, l’esilio, la lotta armata degli Anni Settanta, le persecuzioni con cui il regime uccise più di 3 mila persone e la passione delle masse, fanno parte di un trauma che alcuni degli Allende hanno risolto in modo radicale. Beatriz si è suicidata a Cuba nel ’77. Suo figlio Alejandro, che ricorda il nonno nei manifesti elettorali appesi in casa, vive in Nuova Zelanda.
L’«altra» famiglia
Anche i Pinochet sono una dinastia cresciuta all’ombra di una figura ingombrante.
La maggior parte di loro evita le apparizioni pubbliche, nonostante esista tra i cileni una solida minoranza di nostalgici. L’unico che prende sistematicamente posizione è Augusto Pinochet Molina. Si chiamava Cristian, ma l’hanno ribattezzato come il dittatore quando aveva 5 anni. Una volta, disse che il suo maggior rimpianto era che «il nonno non avesse avuto più tempo da passare con lui». Ha creato il movimento d’estrema destra «Por Mi Patria», parla di patria, ordine e disciplina. Mercoledì è stato arrestato con un grammo e mezzo di cocaina in tasca.