mercoledì 27 maggio 2015

La Stampa 27.5.15
L’Arabia della discordia
di Emanuela Minucci


L’Arabia Saudita Paese ospite del prossimo Salone del Libro di Torino sta diventando un caso politico-diplomatico. È bastato che due giorni fa la nuova presidente del Salone Giovanna Milella dichiarasse di «volerci ripensare su» perché istituzioni e mondo intellettuale si dividessero. Da una parte l’assessore comunale alla Cultura Maurizio Braccialarghe a sostenere che «negando all’Arabia Saudita il diritto di essere ospitata si nega pure alla cultura il suo compito lenitivo di evitare la radicalizzazione dello scontro» e dall’altra consiglieri di centrodestra come quelli di Fratelli d’Italia ad assicurare «la nascita di un agguerrito comitato d’opposizione» nel caso invece si dicesse sì all’Arabia.
Insomma, sembra di rivedere il film trasmesso nel 2008, quando l’ospite scelto dal Salone era Israele, nei 60 anni dello Stato ebraico: anche lì la scelta scatenò un’accesa discussione fra scrittori, intellettuali e politici. E nei cortei si arrivò a incendiare la bandiera israeliana. Ieri, mentre dall’ambasciata dell’Arabia Saudita filtravano malumori all’idea che il Salone stesse ripensando la propria ospitalità, la neo presidente Milella ha colto l’occasione per chiarire la sua posizione: «Non sono contraria tout-court al fatto che si possa dedicare allo Stato saudita l’evento del prossimo anno, però bisogna pensarci bene: di fronte a un Paese che non garantisce quelle libertà a cui molto teniamo in Occidente, possiamo scegliere tra due atteggiamenti. Uno è quello di chi ritiene l’accoglienza stimolante, per noi ma anche per loro: è un modo per innescare processi democratici. Altri preferiscono chiudere le porte e attendere che qualcosa si smuova laggiù. Io prima di scegliere voglio esaminare l’ipotesi Arabia Saudita con il direttore e con il cda. Potremmo anche ospitarne due di Paesi, le formule si possono cambiare e arricchire».
Va comunque riconosciuto che da parte dell’ex management l’idea di scegliere il Paese ospite per un’edizione che non li avrebbe più visti al timone non è stato di un atto di arroganza : «Sono trattative lunghe e delicate - ha spiegato ieri il direttore uscente Ernesto Ferrero - e, nel caso dell’Arabia Saudita, sono cominciate tre anni fa».
Adesso però i vertici sono cambiati e al posto della rodata coppia Picchioni-Ferrero c’è un tandem rosa composto appunto da Giovanna Milella e Giulia Cogoli. E Picchioni, il presidente uscente, sino all’ultimo ha difeso con forza la scelta: «Il Salone ha una funzione maieutica. Suo compito è garantire opportunità d’espressione e di dialogo a chi desideri far conoscere la propria cultura, e al contempo offrire a ciascuno nuovi strumenti di conoscenza tanto più utili e necessari in caso di realtà così complesse e problematiche come il mondo arabo».
Comunque sia, a Torino due giorni fa, in Comune, qualcuno ricordava che se oggi si polemizza per la scelta dell’Arabia Saudita, si dimentica che questa già partecipò con uno stand alle due ultime edizioni. Mentre per il 2016 l’accordo tra la Fondazione e l’addetto culturale saudita in Italia, Fahad Hamad Almaghlooth, prevede uno spazio di oltre 300 metri quadri. «Da anni - aveva spiegato nei giorni scorsi Almaghlooth - prendiamo parte ai più importanti saloni del libro nel mondo per proporre la nostra cultura. Garantiremo una partecipazione all’altezza del prestigio anche a Torino». Non tutti, però, concordano sul fatto che l’Arabia ci sarà: «Vogliamo cambiare il Salone - spiega l’assessore alla Cultura del Piemonte Antonella Parigi -, capisco la presidente Milella quando parla di ripensamento: magari nel 2016 non ci sarà neppure più un Paese ospite e non capisco perché la cosa debba scandalizzare».