mercoledì 27 maggio 2015

La Stampa 27.5.15
De Rita: nessun paragone col divorzio: questo non è un fenomeno sociale
Il presidente del Censis: “Non è una questione di valori, ma di numeri”
di Maria Corbi


«Siamo una società dove impera la soggettività». Parte da qui il ragionamento di Giuseppe De Rita, presidente del Censis, per spiegare il cambiamento della società al tempo delle nozze gay. O almeno delle unioni civili.
Allora professor De Rita siamo in piena trasformazione sociale. Le famiglie non sono più quelle di una volta?
«Io sarei cauto nel definire le unioni civili, o comunque i matrimoni tra persone dello stesso sesso, come un grande fenomeno sociale paragonabile, per esempio, al divorzio».
E come mai?
«Torniamo al primo passo del mio ragionamento e cioè al fatto che nella società moderna la soggettività vince su tutto. Il sesso è mio e lo gestisco io; il matrimonio è mio e lo gestisco io; la gravidanza è mia e la gestisco io... e potremmo andare avanti».
Appunto il matrimonio è mio e quindi mi sposo chi mi pare. No?
«Non basta per farne un grande fenomeno sociale. È una questione di numeri. Il divorzio e l’aborto sono fenomeni che riguardano tutti e quindi il potere della soggettività è alto. Mentre nelle nozze gay a giocare un ruolo importante è il diritto».
Sta dicendo che poiché le nozze tra persone dello stesso sesso sono un fenomeno di nicchia, allora non hanno la forza di fenomeno che rivoluziona una società?
«Non è un giudizio di valore, ma di numeri. Io parlo da tecnico, non vorrei che poi dopo questa intervista mi si dicesse che sono omofobo».
Lo è?
«Assolutamente no. Io parlo e valuto da tecnico. Mi avete chiamato perché sono considerato un esperto di fenomeni sociali. Giusto?».
Giusto.
«E allora le dico che la prossima puntata della saga della soggettività, iniziata negli Anni 70, non è questa. Non sono le unioni civili».
E quale sarà la prossima puntata?
«L’eutanasia. Sarà questa la prospettiva finale. La morte è mia e me la gestisco io. C’è un forte interesse soggettivo in questo».
Ma il referendum irlandese allora?
«Io non so cosa succederebbe in Italia con un referendum sulle nozze gay. Ma non sono convinto che ci sarebbe un 60 per cento di favorevoli come in Irlanda. Ma ho sbagliato tante volte, non ho la verità in tasca».
In Italia la Chiesa conterebbe più di quanto abbia contato in Irlanda?
«Credo che sia giusto riconoscere che la Chiesa sta cercando di accompagnare il cambiamento più che contrastarlo».
Il caso dell’Irlanda ha dimostrato ancora una volta che la politica è sempre in ritardo rispetto alla società civile.
«Mi scusi ma perché la politica dovrebbe precedere i grandi fenomeni sociali? Un normale Stato democratico deve accompagnare non precedere».
Diciamo allora che abbiamo qualche problema anche nell’accompagnamento?
«La politica deve gestire delle complessità. E rispettarle. Cosa che non deve fare una minoranza che può limitarsi a battersi per un proprio obiettivo. Ci sono problemi di compatibilità sociale, di equità, di spesa. Ripeto, la politica ha un dovere chiaro: rispettare e gestire la complessità. E a volte si devono mettere delle pezze, come ha detto il premier Matteo Renzi».
La sua analisi disegna una società italiana statica. Anche riguardo alla famiglia e quindi alle unioni tra persone dello stesso sesso.
«La nostra società è più tesa a racchiudersi in se stessa e a proteggersi che ad avviare grandi trasformazioni. Anche per questo sarei curioso di vedere l’esito di un referendum sulle nozze omosessuali».