mercoledì 27 maggio 2015

Corriere 27.5.15
Lo scontro nella Ue sui profughi. L’Italia pronta a chiedere più fondi
La strategia di Roma per far riconoscere il nostro ruolo di Paese di confine
di Francesco Verderami


ROMA Sotto il muro di Dublino si sta consumando tra i Paesi dell’Unione uno scontro che segnerà il profilo futuro dell’Europa. Perché più delle questioni di bilancio, il tema dell’immigrazione e soprattutto il nodo degli «asilanti» va a interferire con il principio di sovranità nazionale degli Stati. Di qui le resistenze al piano Juncker, sostenuto con forza da Berlino e Roma, ma che — in vista dell’«opting out» di Londra — rischia di naufragare senza l’appoggio di Parigi e Madrid, dedite a smontare lo schema di ripartizione per «quote» dei migranti.
Ed è evidente che l’Italia — in prima linea nella trincea meridionale per via della crisi libica — non può accettare soluzioni pilatesche, «l’Europa — dice il titolare del Viminale — deve riconoscere il nostro ruolo di Paese di confine». Le parole di Alfano anticipano l’apertura di un ulteriore fronte di negoziato: se tocca a Roma fare «il lavoro di tutti», allora a Roma vanno destinate maggiori risorse, o quantomeno vanno garantiti dei vantaggi nel patto di Stabilità, dato che — rispetto ai 60 milioni stanziati ad hoc da Bruxelles — il governo italiano per il 2015 ha già messo a bilancio 800 milioni.
Non c’è dubbio che l’aspetto economico sia un dettaglio (per quanto non marginale) della trattativa, così com’è chiaro che l’emergenza immigrazione non può essere risolta con la divisione degli «asilanti» nei vari Paesi dell’Unione. Per l’Italia il problema si chiama Libia, Renzi riconosce che «le quote sarebbero un palliativo se non si bloccassero i flussi di partenza dall’Africa». Dunque la sfida si gioca anche a un altro tavolo, quello delle Nazioni Unite, dove giace la risoluzione che consentirebbe di intervenire per porre fine alla crisi nel Mediterraneo. L’ottimismo del premier su un «esito positivo» della partita diplomatica al palazzo di Vetro, poggia sull’ottimismo trasmessogli dallo stesso capo della Farnesina, Gentiloni, che in questi giorni ha avuto un colloquio «soddisfacente» con il collega cinese e si prepara a volare nel fine settimana a Mosca per incontrare il ministro degli Esteri russo.
Nel frattempo va trovato un accordo in Europa sul piano Juncker, «va costruito il consenso» — come dice la Mogherini — per superare il voto a maggioranza qualificata tra i Paesi dell’Unione. Ed è lì, sotto quel muro di Dublino che fissa rigide barriere tra gli Stati, che si concentra lo scontro. L’alto rappresentante per la politica estera europea fa capire le difficoltà, perché il nuovo meccanismo scardina i precedenti schemi di gestione dell’immigrazione tra i vari Stati e apre conflitti politici nei singoli Stati. Ecco il motivo che ha indotto Hollande a ottenere che nel progetto non si parlasse più di «quote» ma di «redistribuzione» degli «asilanti»: sebbene il piano europeo convenga anche alla Francia, l’inquilino dell’Eliseo doveva intanto rompere la morsa in cui si è trovato stretto in patria, per effetto degli attacchi di Sarkozy e della Le Pen.
Al momento il muro di Dublino sembra insomma resistere. Ma sotto questa barriera che appare insormontabile è al lavoro la Germania, convinta sostenitrice del piano con l’Italia. E non è un caso che, nella missione, un ruolo importante lo stia giocando il capo di gabinetto di Juncker, Selmayr, potente rappresentante della Merkel in Commissione a Bruxelles: a lui la cancelleria tedesca ha affidato il compito di premere riservatamente sulle capitali europee, in modo di aprire un varco.
L’obiettivo è ambizioso: se l’operazione riuscisse, se cioè il piano varato per l’emergenza — per quanto rabberciato — venisse approvato, vorrebbe dire che sarebbe passato un principio innovativo in Europa. A quel punto, una volta accettata la soluzione ponte, l’idea della Commissione sarebbe quella di presentare per dicembre un nuovo meccanismo «permanente», senza più limiti numerici. In tal caso, le quote di ripartizione degli «asilanti» verrebbero superate. Sarebbe davvero la caduta del muro di Dublino. Ecco perché questa fase è molto delicata, perciò se ne discuterà al G6 di Dresda il primo giugno, dov’è previsto un incontro tra il titolare dell’Interno italiano e il collega tedesco De Maiziere, mentre i tecnici dei due dicasteri dovrebbero riunirsi per studiare una proposta di mediazione che possa aver successo.
Un errore in questa fase di trattative e tutto verrebbe pregiudicato. Il consiglio dei ministri dell’Interno del 16 giugno sarà una tappa importante, ma determinante sarà il vertice dei capi di Stato e di governo alla fine di quel mese: «Allora vedremo — dice Renzi — se l’Unione avrà un volto solidale».