martedì 26 maggio 2015

La Stampa 26.5.15
Disabili: più sostegno, meno badanti
Sugli insegnanti specializzati s’è acceso il dibattito: queste figure professionali vanno riformate? Formare docenti che conoscono a fondo le singole disabilità significaincludere meglio e di più
di Gianluca Nicoletti


Di «Buona Scuola» si è molto parlato, ma solo da pochi giorni, e per i più quasi fosse un dettaglio di contorno, il tema dell’inclusione scolastica ha sollevato dibattito tra media ufficiali e blog di settore. Il principale oggetto del contendere è la ridefinizione dell’insegnante di sostegno, che nella legge dovrebbe assumere carattere specialistico e declinato su singole disabilità.
Fare il sostegno diventerebbe una ben precisa scelta formativa e professionale, non più un incarico a tempo per docenti di ogni disciplina.
È veramente sconsolante rendersi però conto che in questo dibattito i ragazzi disabili, reali soggetti bisognosi di tutela e attenzione, non siano considerati centrali, sembrano essere solo un’entità omogenea e astratta necessaria a giustificare la presenza degli insegnati a loro dedicati.
Il mio punto di vista è, come noto, quello di genitore di un ragazzo autistico e quindi disabile grave.
Insegnanti, non badanti
Desidero che mio figlio possa il più possibile avvantaggiarsi di quella stupenda scuola inclusiva che tutto il mondo c’invidia, ma non mi posso accontentare che il periodo scolastico si limiti a fornirmi dei «badanti» che tengano d’occhio il ragazzo, tanto per trattenermelo fuori casa qualche ora al giorno. Vorrei che mio figlio facesse veramente e concretamente parte di una classe di suoi coetanei, non avesse l’impressione di essere un peso e un ostacolo all’apprendimento degli altri, o fosse messo a fare scarabocchi su un foglio tanto per dargli l’impressione di fare qualcosa di assimilabile a quello che fa il resto della classe. Senza dovermi sentire in colpa e sommessamente chiedere come favore quello che dovrebbe essere un diritto. La posizione opposta è naturalmente quella che tende a conservare l’indubbio vantaggio del sostegno inteso come una sorta di periodo di «servizio militare», in cui i nostri figli vengono usati come cavalli di Troia per il miglioramento di qualche carriera.
Pari dignità
Mi ferisce l’enorme spietatezza di chi si scopre improvvisamente paladino della dignità professionale degli insegnanti di sostegno, che nella specializzazione si sentirebbero declassati. Mi si vuol dire che sia un’attività minoritaria studiare per salvare un essere umano dall’emarginazione sociale e dal baratro degli istituti che lo attendono dopo la scuola? E’ considerabile meno dignitoso che insegnare geografia o letteratura latina? Non mi si tiri fuori la scusa di una scuola «medicalizzata», se si vuole dare a chi ha un handicap grave una chance reale bisogna aver studiato a fondo gli strumenti di comunicazione per chi ha quel tipo di problema, soprattutto se tocca il campo della psiche, del deficit sensoriale, delle difficoltà di relazione. Altrimenti per questi figli minori la scuola continuerà a essere un parcheggio nei corridoi, negli stanzini rimediati, chiamati con palese controsenso «aula sostegno».
Dopo di noi
Noi genitori non ci auguriamo il ritorno alla scuola speciale, ma una scuola che sia veramente adeguata a contenere qualsiasi sfumatura speciale, in cui sia impegnato ogni essere umano che la frequenti, dal preside al bidello, passando per tutti gli insegnanti e gli alunni neurotipici e normodotati. Con la maggiore età gli altri ragazzi lasceranno la scuola e bene o male incontreranno la vita, per i nostri invece non ci sarà altro, la scuola che avranno frequentato sarà stata la più potente e unica occasione per continuare a essere considerati cittadini a tutti gli effetti. La nostra sola speranza è una buona scuola che dia loro dignità e ci faccia sperare che per loro esista un’altra possibile chance, oltre la segregazione in casa o in centri di raccolta per umani imperfetti.