sabato 23 maggio 2015

La Stampa 23.5.15
“Serve una legge nazionale per avere stipendi meno rigidi”
Ichino: giuste le deroghe sui minimi delle retribuzioni
di Roberto Giovannini


Senatore Pietro Ichino, ora nel Partito Democratico, come commenta le parole di Mario Draghi? È vero che le imprese che possono abbassare i salari licenziano di meno?
«C’è una logica stringente nel ragionamento di Draghi. Le strategie neokeynesiane che piacciono alla nostra vecchia sinistra, in una situazione di salari nominali rigidi - rigidità dovuta proprio alla inderogabilità dei contratti nazionali - puntano a ridurre il valore d’acquisto dei salari con l’inflazione, e in questo modo evitare la disoccupazione. Ma noi non disponiamo della leva monetaria, e dunque abbiamo bisogno della flessibilità che ci permette di far fronte alla crisi congiunturale con una flessibilità salariale che consente di evitare di ridurre l’impatto della congiuntura negativa. In altre parole, la possibilità, e la possibilità di contrattare la retribuzione al livello aziendale permette di raggiungere lo stesso risultato di contrasto alla disoccupazione in modo più esplicito».
Dunque, Draghi ha ragione. In che modo si potrebbe adattare questa riflessione al sistema italiano, concretamente?
«Con un nuovo assetto della contrattazione collettiva che preveda la possibilità di deroga rispetto al contratto nazionale di lavoro non soltanto sulla parte normativa ma anche sulla parte salariale, come i minimi tabellari».
Senatore, ma già c’è la norma dell’articolo 8 voluto a suo tempo da Maurizio Sacconi: già si può fare!
«C’è però un problema: è vero che l’articolo 8 dà questa possibilità in linea generale, senza esplicitare che essa si estende anche alla materia retributiva; ma i giudici continuano a interpretare i minimi tabellari come i parametri per l’applicazione dell’art.36 della Costituzione, quello che stabilisce il diritto del lavoratore alla “giusta retribuzione”».
Dunque neanche ci hanno provato, aziende e sindacati, a utilizzare quella norma?
«Nessuno ci ha neanche provato. Anche perché l’accordo interconfederale del 2011 - poi recepito nel “Testo Unico sulla rappresentanza” tra sindacati e Confindustria - esclude la retribuzione dalle materie su cui si può derogare. E in più c’era il rischio che il giudice dicesse che non si può andare sotto il minimo tabellare indicato dal contratto nazionale, perché significherebbe andare sotto il parametro della “giusta retribuzione”».
E quindi? Cosa bisogna fare per seguire l’indicazione del Governatore Draghi, e consentire di poter abbassare liberamente i salari in un contratto aziendale, magari perché si pensa di poter meglio difendere i posti di lavoro?
«Occorre una legge che espliciti questo punto, cioè dica esplicitamente che il contratto collettivo più vicino al luogo di lavoro prevale sul contratto di livello superiore, anche sulla materia della retribuzione. Successivamente, bisogna completare questa manovra con l’introduzione del salario orario minimo, che diventerebbe il vero “minimo dei minimi”, anche per la giustizia del lavoro».