venerdì 22 maggio 2015

La Stampa 22.5.15
I migranti, nuova sfida per la politica
di Gianni Riotta


L’attore Johnny Depp ha cercato di far entrare, illegalmente, in Australia i suoi due cani, aggirando la quarantena per gli animali domestici. Il governo ha reagito «o li porti via o li abbattiamo», la star di Hollywood ha noleggiato un aereo e salvato i cuccioli. Se la sono cavata meglio di migliaia di migranti che provano a sfuggire alla miseria dall’Asia e che la tolleranza zero dell’Australia contro i clandestini costringe all’Odissea nel Pacifico. Sulla rivista The New Republic http://goo.gl/q14U3b la commentatrice australiana Chloe Angyal nota il paradosso, un Paese che si vanta nell’inno nazionale di «aprire la terra a chi viene dal mare».
E invece, con il premier Tony Abbott, allontana i disperati dal Bangladesh e Myanmar dopo 2800 chilometri di terribile navigazione nell’Oceano Pacifico. Le carrette rispedite indietro dalle cannoniere affondano, chi non muore langue in campi di raccolta, tra stupri, sevizie, malattie, racket.
È questo il «modello Australia», linea dura sull’emigrazione, che la leader populista francese Marine Le Pen introdurrà se eletta all’Eliseo. Ieri il premier britannico David Cameron ha pagato il pegno della rielezione, attaccando l’emigrazione clandestina, lamentando l’aumento degli ingressi nel Regno Unito del 52%, tra il 2013-2014 318.000 emigranti, e assicurando che taglierà le quote anche per «i cervelli» specializzati a meno di 20.700 l’anno.
Indonesia e Malesia imitano l’Australia e chiudono ai «dannati della terra» di Bangladesh e Myanmar, soprattutto i poverissimi della minoranza Rohingya. L’Onu ottiene una tregua di 12 mesi per soccorrere i naufraghi, dalle navi sbarcano scheletri. Ad Auschwitz liberata 70 anni fa il grido «Mai più», guardate invece i blog dal Pacifico.
L’emigrazione è vicenda umana, storica, politica, economica ed etica che non ha soluzioni semplici come le app del cellulare. Milioni di persone si spostano, sperando in una vita migliore, poveri e ceto medio, o profughi in fuga dalle guerre. L’Europa deve accogliere i rifugiati per obbligo internazionale, altri Paesi no, ma distinguere tra poveri e perseguitati è spesso impossibile. Gli sbarchi hanno coinciso con la crisi e con i posti di lavoro distrutti dalla tecnologia e tanti, anche in buona fede, vedono nell’emigrante la causa della sofferenza sociale. Il populismo agita allora i suoi fantasmi.
In due recenti incontri in Romagna, il premio Nobel Amartya Sen ha ricordato con saggezza come non ci siano soluzioni semplici al problema emigrazione, solo lunghe misure di integrazione, sviluppo, raid contro i mercanti, ma senza alzare mura invalicabili che aumentano le fughe. La politica lancia invece slogan, Abbott e Le Pen vogliono cacciare tutti, i loro oppositori «razzismo» con timore sociale e confondono la scelta religiosa della Chiesa cattolica con il dovere di una politica nazionale. Il risultato genera impotenza, caos, violenze, morte.
Il piano europeo delle «quote» e la missione all’Onu della commissaria Mogherini hanno sollevato acerbi entusiasmi, presto delusi dalla realtà. Il presidente Hollande non cede per non dar voti alla destra del redivivo Sarkozy e alla Le Pen. Cameron, con in vista il referendum su Londra in Europa, sbarra la Manica. L’Italia è sola e, tranne parole, poco o nulla avrà da europei e Onu.
Riuscire a trasformare in crisi politica il fenomeno emigrazione è il fallimento di una classe politica mediocre, senza visione, appesa ai sondaggi: ormai parlare con serietà, nel Mediterraneo e sul Pacifico, è impossibile. Se chiedete a chi studia da sempre i flussi di esseri umani, come Michael Clemens del Centre for Global Development, cosa accadrebbe se l’Europa aprisse le frontiere la risposta vi sorprenderà. Nel 2004 Londra aprì ai polacchi e ne arrivarono più del previsto, nel 2014 ai romeni e se ne presentarono pochissimi. Nel 2012 la Germania apre ai polacchi, i sindacati strillano: «Ecco un milione di idraulici!», passano il confine solo in 100.000, il 10%. Gli Usa danno via libera ai cittadini della Micronesia nel 1986, la California teme la valanga, alla dogana vanno in pochi. L’effetto totale del flusso libero sull’Europa sarebbe di un +10% della popolazione, non male per un continente vecchio e senza bambini, con punte del 23% in Germania. Quote che si potrebbero scaglionare nel tempo, distribuire, mentre si colpisce il racket (misura che ha effetti solo temporanei), si soccorrono nei campi i migranti e si promuove lo sviluppo, già in corso, dell’Africa. La paura del confine chiuso per sempre accelera, non rallenta chi è disperato. Ma vedete un piano coerente disegnato da burocrati, showman, anime belle? No, e intanto si muore ovunque sui Sette Mari.