venerdì 15 maggio 2015

La Stampa 15.5.15
I pontieri del governo al lavoro per un accordo con la Cgil
Renzi non vuole rompere, anche in chiave elettorale
di Carlo Bertini


Si tratta anche con la Cgil, Matteo ha dato il via libera agli ambasciatori...», ammettono gli uomini del premier. Con le piazze ostili e le elezioni alle porte, Renzi vuole provare a ridurre il malcontento di un bacino elettorale della sinistra come quello degli insegnanti, sindacalizzato al massimo grado: per questo il governo non vuole dare la sensazione di dividere i sindacati ed è in corso un’interlocuzione con tutte le confederazioni. I punti sub judice sono tre: la tipologia dei precari da assumere, ferma restando la platea di 100 mila a settembre e 60 mila l’anno prossimo per concorso, i ruoli dei presidi e la gestione dei 200 milioni di euro destinati ai premi per gli insegnanti, che i sindacati vorrebbero lasciare in appannaggio ai collegi dei docenti. E la strategia è di procedere con una trattativa sul filo del rasoio su canali riservatissimi. Il canale diplomatico con la Cisl e la Furlan viene battuto ufficialmente soprattutto da Stefania Giannini e Lorenzo Guerini per il Pd, quello con la Camusso è il più delicato e i rapporti più distesi sono quelli con la Boschi: che martedì nella riunione plenaria a Palazzo Chigi, ha volutamente mostrato ascolto alle ragioni del sindacato, incassando per questo l’apprezzamento della leader Cgil. Ma dietro il proscenio c’è chi conduce la trattativa sul piano più tecnico lavorando sottotraccia.
La nuova «concertazione»
Con i leader sindacali il governo è già d’accordo a rivedersi quando si tratterà di stringere: non la prossima settimana, quando la riforma passerà alla Camera con poche modifiche rispetto al testo votato in commissione, ma nei primi dieci giorni di giugno, quando la riforma approderà al Senato. Lì il testo verrà di nuovo ritoccato e prima del voto finale alla Camera c’è l’impegno a riunire di nuovo i sindacati a Palazzo Chigi. La strada di un accordo è stretta, ma i segnali inviati dal premier sono di appeasement, pur con l’avvertimento che devono rientrare minacce sconsiderate come il blocco degli scrutini altrimenti non si tratta con nessuno. Non a caso la tabella di marcia in queste ore è cambiata: se fino a qualche giorno fa gli uffici al Senato erano stati allertati per un voto in corsa entro le regionali, si è deciso che la riforma andrà votata a palazzo Madama entro il 7 giugno per poi tornare alla Camera per un timbro finale entro il 15, data ultima per poter procedere con l’assunzione dei precari.
La minoranza si schiera
Anche Renzi ieri si è concentrato sulla «buona scuola», tutti i suoi «pontieri» sono al lavoro, prima dell’avvio della discussione generale della riforma alla Camera, Ettore Rosato ha riunito alle otto di mattina il gruppo dei deputati: sono arrivati un centinaio a parlare, il più duro Stefano Fassina, ma una parte del fronte ex Cgil della minoranza, è schierato a favore della riforma. Il sentimento prevalente di molti deputati della minoranza è di grande critica verso la minaccia del blocco degli scrutini, con l’argomento ricorrente che «non è nella cultura di un grande sindacato interrompere un servizio alle famiglie e agli studenti». E se a spingere per procedere senza fretta è l’ex premier Letta («ci vuole più gradualità e condivisione»), basta sentire il messaggio lanciato da Lorenzo Guerini per capire quale sia l’input del premier-segretario: «Sui passaggi riformatori di particolare importanza dobbiamo dimostrare di saper costruire un ampio consenso».