mercoledì 13 maggio 2015

La Stampa 13,5.15
Al Festival delle religioni di Firenze
prove di dialogo tra i fedeli del Dio unico
di Maurizio Molinari


«Il dialogo inter-religioso per avere successo non può essere un valzer ma un cha-cha-cha»: così il talmudista Adin Steinsaltz, arrivando a Palazzo Vecchio, riassume l’apertura del Festival delle Religioni che lo vede protagonista assieme al patriarca latino di Gerusalemme, Fouad Twal, e dal Papa dei copti egiziani, Tawadros II. La conversazione pubblica fra il rabbino e il patriarca conferma il parallelo con un tipo di danza che consente agli uomini di fede delle tre confessioni monoteiste di stare assieme ma senza toccarsi e fronteggiando mosse a volte imprevedibili.
Steinsaltz e Twal parlano all’unisono quando si tratta di descrivere la risposta da dare alla violenza di estremisti come i jihadisti di Isis che perseguono la violenza sull’uomo. «Tocca agli uomini di fede mischiarsi alla gente per spingere gli uomini verso l’amore per il prossimo e lontano dalla malvagità», dice il talmudista, parlando della necessità di un «Dio non dentro chiese e sinagoghe ma nella strade». E il patriarca aggiunge: «Tutti abbiamo un ruolo nell’arginare e respingere le violenze brutali, dobbiamo riempire il vuoto nel quale Isis si inserisce con la presenze nelle scuole, nelle strade, nei luoghi di ritrovo, per non lasciare spazi al seme dell’odio». Entrambi condividono la necessità di un «neo-umanesimo capace di riportare l’uomo al centro della società» come dice Francesca Campana, animatrice del Festival, accogliendoli nel Salone dei Duecento.
Ma quando il dialogo tocca temi politici il valzer fra Steinsaltz e Twal si trasforma in un cha-cha-cha perché il patriarca ricorre a termini aspri per condannare «l’occupazione israeliana dei Territori» spingendosi fino a criticare singole decisioni del premier israeliano Benjamin Netanyahu, come l’intervento a Gaza la scorsa estate, mentre il talmudista ribatte citando Machiavelli: «Gli Stati sono per definizione amorali perché tendono a preservare i propri interessi, il dialogo fra singoli e fedi deve essere un’altra cosa». Nel vivace confronto arriva anche il momento in cui entrambi affrontano temi propri delle rispettive fedi.
Twal si sofferma sui cristiani che «vanno via» dal Medio Oriente e Steinsaltz sembra parlare ai rabbini quando dice «la cosa più importante delle sinagoghe è la gente». Entrambi vengono da Gerusalemme, ne sono parte integrante e descrivono la città santa alle tre fedi monoteistiche come la culla naturale del dialogo interreligioso. «Anche se combattervi i pregiudizi esistenti non è facile» osserva Twal, citando l’episodio della «collaborazione fra israeliani ed arabi, cristiani e musulmani, per togliere dai rispettivi libri scolastici i riferimenti negativi alle fedi altrui» che «si è arenata dopo aver trovato i testi da emendare». L’arrivo di Tawadros II, Papa dei copti, accende i riflettori sulla persecuzione dei cristiani da parte dei jihadisti e sull’importanza dell’impegno del presidente Al Sisi per rafforzare il «diritto di cittadinanza» di tutti gli egiziani, a prescindere dalla fede. Fra il pubblico che esce da Palazzo Vecchio, al termine della prima giornata del Festival, è forte l’impressione di aver assistito all’unica formula di dialogo possibile fra fedi.