La Stampa 10.5.15
L’emigrante nella valigia
di Lorenzo Mondo
Ci tocca profondamente l’immagine di quel bambino che avrebbe dovuto passare la frontiera di Ceuta rannicchiato dentro un trolley. Ceuta è, con Melilla, una delle due enclaves spagnole in terra marocchina, una delle porte di accesso all’Europa. Una ragazza, di nome Fatima, si è presentata alla frontiera con il suo bagaglio ma era troppo agitata per farla franca. Le guardie temevano che trasportasse droga, hanno sottoposto il trolley ai raggi X e sono trasecolati quando sullo schermo è comparsa la sagoma di un bambino imprigionato nella minuscola cella. Il piccolo Abou, di 8 anni, in apparenza dormiente e coperto da un drappo azzurro, ne è uscito non particolarmente provato. E questo la dice lunga sulla capacità di sopportazione dei bambini generati dalla madre Africa tra miseria e guerre civili. Si è saputo poi che Fatima era stata pagata, per il trasporto, dal padre di Abou, un ivoriano che pure gode del permesso di soggiorno in Spagna.
La storia riproduce in miniatura ben altri percorsi dei migranti. La valigia al posto di una barca, anche se le sarebbe toccato, invece dei marosi, l’attracco dopo un breve volo. Fatima che percepisce un guadagno, sia pure non assimilabile a quello dei turpi mercanti di uomini (la ragazza conserva una sua innocenza, perché il tragitto non comportava violenza, era stato concordato con il genitore). Emerge, ancora, il tema assillante del ricongiungimento tra i familiari dispersi. E, non ultimo, il rischio che il piccolo, per qualche ulteriore imprevisto, morisse soffocato.
Commuove certo questa ostinata, tenace volontà di partire. Che assume anche una suggestiva valenza simbolica. La valigia come guscio protettivo di un frutto destinato a maturare. Come utero predisposto a una nascita che, nel caso, assume il senso di una rinascita. Ma, rallegrandoci per il lieto fine della vicenda, non possiamo tranquillizzarci, scaricare la nostra coscienza. Non possiamo isolarla da un contesto che appare irrisolto nelle sue drammatiche e problematiche componenti. Altri, troppi, continueranno a viaggiare, a morire, a sopravvivere in precarie condizioni di accoglienza, alimentando, insieme alle speculazioni politiche, una guerra tra poveri. Sembra che la comunità internazionale abbia preso finalmente coscienza del problema immane (piegandosi a un’equa ripartizione dei fuggiaschi e a sostanziosi incentivi nei Paesi d’origine per frenare l’esodo). Ma occorre fare presto, superare le dilazioni imposte per troppo tempo dagli egoismi nazionali e dai burocrati di Strasburgo. Anche quella valigia, insieme ai barconi, è il simulacro di una vergognosa impotenza.