venerdì 1 maggio 2015

La Stampa 1.5.15
Disoccupazione, crescita continua
Gli esperti dell’Istat spiegano che l’effetto Jobs Act non si è ancora fatto sentire I giovani senza lavoro saliti a quota 43,1%. In Europa si allontana il rischio deflazione
di Paolo Russo


Starà anche spirando con più forza il vento della ripresa, come sostiene la Bce, ma intanto in Italia si rafforzano le schiere dell’esercito dei disoccupati. I numeri del bollettino Istat diffuso ieri dicono che l’effetto Jobs Act non si è fatto ancora sentire. Nonostante la stabilizzazione di un buon numero di contratti da precari a stabili il numero dei senza lavoro è infatti salito a marzo di un nuovo 0,2%, arrivando così a quota 13%, il picco più alto da novembre scorso. E, come al solito, a fare più impressione è il dato della disoccupazione giovanile, che con un più 1,2% tocca la quota monstre del 43,1%. Il risultato peggiore degli ultimi otto mesi, che si traduce in altri 8mila giovani disoccupati. E si parla di chi un posto lo cerca realmente, perché i dati dell’Istituto escludono i giovani inattivi, ossia coloro che studiano o che non sono alla ricerca di un lavoro. Ancora in calo anche il numero complessivo degli occupati: 59mila in meno rispetto a febbraio. Così alla fine dopo il primo trimestre dell’anno sono diventati tre milioni e 300 mila gli italiani alla ricerca di un lavoro, l’1,5% in più rispetto a due mesi fa.
«I dati Istat sulla disoccupazione confermano ancora una volta che cancellare i diritti non crea lavoro», non perde l’occasione di sottolineare la leader della Cgil, Susanna Camusso. E di «illusione Jobs Act» , parla anche il segretario generale della Uil, Carmelo Barbagallo, ricordando che «mentre in Europa la disoccupazione è stabile da noi torna a salire». I tecnici dell’Istituto di statistica fanno però da pompieri, precisando che è ancora presto per poter vedere gli effetti del Jobs Act. Stessa lettura prudenziale la fa il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti. «I dati vanno letti in un quadro complessivo, dove segnali positivi si incrociano con elementi di criticità, tipici di una situazione economica non stabilizzata», puntualizza. Per poi mettere in mostra il rovescio lucente della medaglia: «nei primi tre mesi di quest’anno c’è stata la forte diminuzione delle ore autorizzate di cassa integrazione e una crescita dei contratti a tempo indeterminato di quasi il 40%».
In attesa di capire se la riforma del lavoro, in vigore solo dal 7 marzo, riuscirà far abbassare la testa alla disoccupazione è la Banca centrale europea a diffondere un po’ di ottimismo. Nel suo bollettino mensile comunica infatti che le stime dei prezzi in salita allontanano lo spettro della deflazione dall’Europa e che, «nonostante la bassa inflazione, non ci sono segnali che i consumatori stiano rinviando gli acquisti». Un segnale importante per l’occupazione, visto che la spirale deflattiva spinge di solito a rinviare gli acquisti in attesa di nuovi ribassi e le aziende a ridurre ulteriormente prezzi e costi. Compreso quello del lavoro.
E che la deflazione si stia allontanando anche dal nostro Paese lo conferma lo stesso Istat, comunicando che, secondo stime preliminari, l’indice dei prezzi al consumo sarebbe finalmente tornato al segno più, con uno 0,3% su base mensile, realizzato soprattutto dai costi di beni energetici, servizi ricreativi, culturali e per la cura della persona.
A far intravedere l’uscita dal tunnel, assicura la Bce, è poi l’effetto quantitative easing, la massiccia operazione di acquisto titoli e relativa immissione di denaro fresco “che dovrebbe sostenere consumi e investimenti” e che, insieme al petrolio debole e alla svalutazione dell’euro, contribuirà “ad ampliare e rafforzare gradualmente la ripresa”. Magari anche dell’occupazione.