domenica 31 maggio 2015

Il Sole Nova 31.5.15
Nel backstage scientifico di Tokamak
Il più grande laboratorio del mondo a supporto di Iter si trova a Padova
di Ale. V.


C'è un'enorme quantità di ricerca, dietro la costruzione di Iter. Una moltitudine di esperimenti, scoperte, verifiche. Incastri di un gigantesco puzzle scientifico e tecnologico che vengono messi insieme ogni giorno nei laboratori di mezzo mondo. C'è per esempio Jet, il più grande tokamak esistente, che in Inghilterra studia come ottenere le migliori prestazioni dal plasma; e c'è l'esperimento Asdex, in Germania, che studia il controllo della stabilità dei plasmi. In Giappone, con un grosso contributo europeo, è in costruzione il tokamak Jt-60SA, mentre la Cina ha in programma di costruire una macchina estremamente avanzata entro un decennio.
Il più grande laboratorio del mondo a supporto di Iter però si trova a Padova, ed è gestito dal Consorzio Rfx (Enea, Cnr, Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, Università di Padova e Acciaierie Venete). Un progetto da duecento milioni di euro.
«Stiamo realizzando il potente acceleratore che sarà il principale “accendino” del futuro reattore - spiega Francesco Gnesotto, presidente del Consorzio Rfx e vicerettore dell'Università di Padova -. Il plasma di Iter verrà riscaldato in due modi: da microonde simili a quelle dei forni per uso domestico e da fasci di particelle molto veloci, che grazie alla loro neutralità elettrica riusciranno ad attraversare il campo magnetico che confina il plasma arrivando a depositare lì la loro energia. I fasci di particelle nascono elettricamente carichi: neutralizzare i fasci è un'operazione molto complessa. Una grande sfida tecnologica, anche perché i più potenti al mondo oggi hanno una potenza di alcuni milioni di Watt, e il nostro sarà da diciassette milioni. I fasci attuali poi lavorano per impulsi da alcune decine di secondi, mentre quelli di Rfx lavoreranno in continuità, fino ad un'ora. Il sistema quindi dovrà essere totalmente raffreddato, proprio come nei futuri reattori commerciali. E proprio per affrontare il problema della grande potenza termica prodotta dal reattore, l'Italia promuove la costruzione di un nuovo esperimento».
Il riferimento è al Dtt (Divertor Test Tokamak), progetto con capofila l'Enea che il governo italiano ha inserito nell'elenco di quelli da finanziare con il Piano Juncker. Non è solo questione di ricerca (dove pure l'Italia è uno dei paesi più avanzati al mondo), ma anche di calcolo economico: l'effetto leva di simili esperimenti è notoriamente rilevantissimo, sia per il tessuto imprenditoriale che per il territorio. Il Dtt, che potrebbe essere costruito a Frascati, oltre a fornire elementi cruciali per il progetto della futura centrale a fusione porterebbe infatti nuova linfa alle aziende italiane di alta tecnologia, consentendo loro di sviluppare le competenze necessarie per aggiudicarsi commesse industriali per miliardi di euro quando verrà costruito Demo (il reattore che produrrà energia elettrica in rete verso il 2050).
«L'energia da fusione è ancora lontana soprattutto perché si costruiscono troppo poche macchine sperimentali - continua Gnesotto -. Il progetto di Iter era stato avviato molti anni fa, negli anni Ottanta. Poi il prezzo del petrolio è sceso e gli investimenti sulle nuove fonti di energia sono rallentati. Costoso? Iter costa come dodici ore di consumi energetici mondiali: si potrebbe certo fare di più». Ne è convinto anche Piero Martin, fisico dell'Università di Padova e responsabile della task force sui Medium size tokamaks di EuroFusion, il consorzio che coordina la ricerca sulla fusione in Europa e gestisce i fondi destinati a 29 laboratori di ventisette paesi, indirizzando il programma fusione dell'intero continente.
«I principali esperimenti proposti dai laboratori italiani sono stati tutti selezionati per la prossima campagna (che inizierà tra poche settimane, ndr), il che testimonia il valore del contributo portato dai nostri ricercatori. Costruire una nuova macchina in Italia significa non solo ricerca e tecnologia di punta e più peso decisionale in Europa e nel mondo, ma formare in casa chi lavorerà su Iter e Demo, offrendo una prospettiva agli eccellenti laureati delle nostre università. Dal 2008 al 2014 è emigrato all'estero un gruppo di italiani la cui istruzione complessivamente è costata allo Stato 23 miliardi di euro. C'erano tra loro molti fisici.
La fusione è un'occasione preziosissima per ridare al Paese il ruolo che merita».