domenica 31 maggio 2015

Il Sole Domenica 31.5.15
Prima della grande guerra
L’alba del secolo dei suicidi
Molti studenti, artisti, musicisti e poeti si tolsero la vita
La coscienza tragica di Trakl, Schönberg e Michelstaedter
di Emilio Gentile


Funesti presagi accolsero nel maggio del 1910 il passaggio della cometa di Halley. Se Giovanni Pascoli dedicò alla cometa un inno, il poeta russo Alexandr Blok le lanciò una poetica sfida: «Tu ci vai minacciando l’ultima ora/dalla turchina eternità, o cometa! …. Incombi minacciosa sulla testa/bellezza d’una stella spaventevole/ … Ma l’eroe non teme la catastrofe,/finché imperversano le sue chimere». Orribili sconvolgimenti furono invece annunciati dalla profetessa francese Madame de Thébes: crolli finanziari, piogge di fuoco, l’umanità sommersa in un mare di sangue. Inondazioni e incendi prevedeva il comandante generale dell’Esercito della Salvezza a Londra. Il 6 maggio morì per una bronchite il corpulento e gaudente Edoardo VII, re d’Inghilterra, amante della pace, delle donne, dei viaggi e della buona tavola. “Zio d’Europa” era soprannominato, perché suoi nipoti erano lo zar di Russia Nicola II l’imperatore di Germania Guglielmo II, e il re di Spagna Alfonso XIII. Nel destino di questi tre sovrani, i cultori di profezie catastrofiche avrebbero potuto forse vedere una conferma postuma dei funesti eventi annunciati al passaggio della cometa: lo zar perse il trono nel 1917 e fu trucidato dai bolscevichi con la sua famiglia nel 1918; la corona imperiale di Guglielmo fu travolta dalla Grande Guerra, e nel 1931 anche Alfonso fu costretto a lasciare il trono e la Spagna dopo la vittoria dei repubblicani.
L’avvistamento della cometa alla Terra il 17 maggio diffuse effettivamente il panico fra la popolazione dei paesi più progrediti. Un giornale tedesco annunciò per il 18 maggio la fine del mondo, perché si temeva che la cometa, sfiorando il pianeta, lo avrebbe avvolto in una mortale nube di gas venefici. Il 18 maggio il «New York Times» informava che «il terrore provocato dall’avvicinarsi della cometa di Halley si è impossessato di gran parte degli abitanti di Chicago», mentre ovunque negli Stati Uniti la gente affollava le chiese e invocava per la strade la protezione divina.
Ma la cometa proseguì il suo viaggio nell’universo e l’umanità sopravvisse. Molti risero per essersi lasciati prendere dal panico, in un’epoca in cui l’ottimismo prevaleva nel continente che dominava il mondo con i suoi imperi coloniali, all’apice di un primato egemonico mondiale, economico, politico, militare, culturale, civile. L’Europa viveva nell’epoca bella della modernità trionfante. Da quaranta anni non c’erano state guerre sul continente. Da quaranta anni non c’era stata rivoluzione, dopo che per quasi cento anni, fra il 1789 e il 1870, l’Europa aveva generato grandi rivoluzioni. E negli ultimi quaranta anni, la popolazione europea era aumentata di oltre cento milioni, grazie alla sua fecondità, ma soprattutto grazie al miglioramento delle condizioni di vita e alla diminuzione della mortalità. Ovunque, nei paesi più progrediti, era diffusa la fede nel progresso inarrestabile, all’insegna della ragione, della conoscenza, della prosperità e della pace.
Eppure, pochi giorni prima del passaggio della cometa, il 20 aprile, il direttore della Società Psicoanalitica di Vienna Sigmund Freud organizzò un convegno per discutere sulle motivazioni dei sempre più numerosi suicidi, in particolare fra gli studenti. Negli ultimi decenni, nell’impero asburgico c’era stato un rapido aumento dei suicidi, culminato proprio nel 1910, come ricorda Thomas Harrison, che ha scelto il 1910 per esplorare le profonde dissonanze che tormentarono il pensiero e la coscienza di giovani artisti, musicisti, poeti e filosofi, afflitti da angoscia esistenziale che spinse alcuni di loro al suicidio. Come accadde nel 1903 al filosofo austriaco Otto Weininger, ebreo antisemita, che si uccise a ventitre anni, poco dopo aver pubblicato Sesso e carattere, un libro di grande successo (diciotto edizioni fino al 1919), nel quale sosteneva che solo il maschio ariano possedeva razionalità, carattere, fede, senso della nazione, mentre ne erano costituzionalmente sprovvisti gli ebrei e le donne. Weininger, osserva Harrison, stabiliva una «connessione fra l’esperienza giudaica e un senso di mancanza di direzione, di opposizione e di disintegrazione», che il razzismo antisemita avrebbe fatto propria, identificando nell’ebraismo le angoscianti dissonanze della modernità.
Era ebreo e aveva ventitre anni il giovane goriziano Carlo Michelstaedter, quando si uccise con due colpi di pistola il 17 ottobre 1910. Quel giorno aveva terminato la sua tesi di laurea, pubblicata postuma nel 1913, intitolata La persuasione e la retorica, elaborata, come osserva Harrison, per assolvere a «un compito difficilissimo: colmare la frattura che si è spalancata in Occidente fra essere e divenire, permanenza e mutamento, quiete e desiderio», nella ricerca di un’esistenza individuale autentica, vissuta con dedizione assoluta, oltre lo stesso istinto di conservazione, nella persuasione della verità, anche la più tragica, rifiutando le false illusioni di una retorica fondamentalmente egoistici. Il giovane poeta filosofo esortava ad avere «il coraggio di vivere tutto il dolore della tua insufficienza in ogni punto – per giungere ad affermare la persona che ha in sé la ragione, per comunicare il valore individuale».
L’esperienza di Michelstaedter è collocata da Harrison al centro di una indagine sulla coscienza tragica di giovani artisti, poeti, filosofi, musicisti, come Arnold Schönberg, Wassily Kandisky, Oscar Kokoschka, George Trakl, György Lukács, che quasi per tacito accordo, simili a solitarie Cassandre, negli anni dieci del secolo scorso lanciarono «il grido di allarme di coloro che vivono il destino dell’umanità», come lo definì Schönberg, per contrapporre alla «disgregazione della vita materiale senz’anima dell’Ottocento», come affermava Kandinsky, «l’edificazione della vita intellettuale e spirituale del Novecento». E con il loro senso tragico della vita, espresso nella pittura, nella musica, nella poesia, nella filosofia, realizzarono «l’emancipazione della dissonanza» facendo esplodere la fragile illusione armonica della modernità trionfante. Per alcuni di loro, la dissonanza lacerante dello loro individualità fu incapace di resistere alla fascinazione della morte, e si lasciarono annegare nella «gelida onda dell’eternità», che «ingoierà, forse, l’aura effigie dell’uomo», come il poeta Trakl, morto suicida al fronte il 3 novembre 1914, pochi mesi dopo l’esplosione della Grande Guerra.
Thomas Harrison,1910. L’emancipazione della dissonanza, Editori Internazionali Riuniti, Roma, pagg. 320, € 20,00