Il Sole Domenica 31.5.15
Chimica in cimitero
I resti di Lavoisier
di Gianni Fochi
Tutto il mondo lo celebra come padre della chimica moderna, perché finalmente sgombrò il campo da fantasmi inconsistenti come il vecchio flogisto, e dimostrò che l’aderenza stretta alla realtà sperimentale è il criterio dirimente per convalidare le ipotesi. Cade in questi giorni l’anniversario della sua morte, avvenuta com’è noto sotto la ghigliottina rivoluzionaria l’8 maggio 1794. L’anno seguente il governo riconobbe che la sua condanna era stata un arbitrio e lui fu riabilitato. Da allora in poi la Francia non ha mai smesso d’onorarne la memoria. Ma invano se ne cercherebbe la tomba nel sacrario dei suoi grandi, il Pantheon parigino, che ha accolto altri scienziati come Berthelot, Langevin, Perrin, Lagrange o i coniugi Curie. Incoerenza? No, impossibilità pratica: dove siano i suoi resti non si sa. O meglio: si sa, in un certo senso, ma non basta.
A dipanare le vicende ingarbugliate delle sue spoglie mortali, a beneficio degli studiosi nostrani, ha pensato il chimico Roberto Poeti. Nei suoi lunghi anni di docenza, egli ha coltivato con passione anche la storia della disciplina che insegnava, e di recente ha riassunto la questione di quella sepoltura sul blog della Società Chimica Italiana. Ci racconta infatti che nel 1786 assunsero il ruolo d’ossario le cave sotterranee di calcare situate in origine fuori di Parigi e trovatesi poi, man mano che la metropoli cresceva, sotto al quartiere di Montparnasse. Fin dall’epoca romana venivano sfruttate per procurare materiale da costruzione; poi gli scavi dovettero cessare per non compromettere la stabilità degli edifici che continuavano a sorgervi sopra.
Per lo stesso motivo si dovette in parte addirittura riempirle, ma vi furono anche trasferiti i resti esumati da cimiteri interni alla città, ormai strapieni di fosse comuni e divenuti intollerabili per ragioni igieniche. Le vecchie cave vennero ribattezzate catacombe. Quando, all’epoca del terrore, la ghigliottina prese a lavorare a pieno ritmo, il doversi sbarazzare d’un numero enorme di cosiddetti nemici del popolo giustiziati impose la riapertura di cimiteri dismessi e la creazione d’uno nuovo, quello detto degli Errancis, cioè degli storpi, dal nome del luogo. Nell’ultimo venne buttato il cadavere di Lavoisier, insieme con altri alla rinfusa e senza elementi adatti a un eventuale riconoscimento. Due giorni dopo lo raggiunse quello d’Elisabetta, sorella del re Luigi XVI. Come fa notare Poeti, vi finirono anche capi rivoluzionari caduti in disgrazia: li avevano preceduti Danton e li seguirono Robespierre, Saint-Just e perfino Fouquier-Tinville, cioè proprio l’accusatore pubblico che aveva chiesto, e ovviamente ottenuto, la condanna capitale di circa duemila persone. Vittime e carnefici finirono insieme. Molti anni dopo il Terrore, ciò che restava in quei cimiteri chiusi ormai da tempo fu trasportato alle catacombe di Montparnasse, poi rese visitabili. L’ingresso è nella piazza Denfert-Rochereau. Dietro a muri costruiti con crani e ossa lunghe, vi si trovano, scomposti e rimescolati, milioni di scheletri. I resti di Lavoisier sono lì, irrimediabilmente anonimi.