domenica 31 maggio 2015

Il Sole Domenica 31.5.15
La grande carestia
La Cina vista da un cinese
Senza guerre né epidemie sono morte di fame 36 milioni di persone: l’inferno del sistema totalitario e i piani quinquennali
di Yang Jisheng

La Grande carestia avrebbe causato alla popolazione cinese la perdita di circa 36 milioni di persone. Il numero di 36 milioni equivale a 450 volte quello delle vittime della bomba atomica lanciata su Nagasaki il 9 agosto 1945, la più grande tra le due bombe atomiche sganciate sul Giappone.
[…] La Prima guerra mondiale avvenne tra il 1914 e il 1918 e in media morirono meno di 2 milioni di persone all’anno. In Cina, nel 1960, in un solo anno, morirono di fame più di 15 milioni di persone. […] Le autorità hanno attribuito la responsabilità della Grande carestia ai disastri naturali e alla pressione esercitata dall’Unione Sovietica per il pagamento dei debiti. In realtà le cose non stanno così. […] A causare la Grande carestia sono stati il sistema altamente centralizzato che aveva come perno l’economia pianificata e il sistema totalitario in cui si sommavano caratteristiche della tradizionale monarchia cinese e del dispotismo staliniano. All’epoca dell’autoritarismo dinastico, a causa dell’arretratezza dei trasporti e delle comunicazioni, era molto difficile che il potere imperiale toccasse profondamente ogni angolo del Paese. Al tempo di Mao Zedong, grazie alle armi moderne, ai mezzi di trasporto moderni, alle moderne tecnologie di comunicazione, il potere dello Stato arrivava a toccare ogni villaggio di campagna. Esso penetrava in ogni unità di lavoro e scuola, permeava ogni aspetto della vita di tutte le famiglie ed entrava nella testa e nelle viscere di ogni individuo. Questo sistema altamente centralizzato e monopolizzato si realizzava per mezzo dell’economia pianificata.
[…] In Cina, l’abolizione dell’economia privata fu pressoché completa. Nelle campagne si realizzò la collettivizzazione dell’agricoltura e si costituì il sistema delle comuni popolari. Nelle città vennero abolite le imprese commerciali e industriali private che divennero di proprietà dello Stato. Nel 1978, prima delle riforme, il valore totale del prodotto delle industrie di proprietà dello Stato occupava una percentuale pari all’80,75% del valore totale del prodotto industriale di tutto il Paese, mentre le industrie di proprietà collettiva occupavano il 19,2 per cento. Entrambe le categorie includevano industrie di ogni tipo. Per quanto riguarda la vendita al dettaglio di beni sociali, il 90,6% del totale era di proprietà di tutto il popolo, il 7,4% di proprietà collettiva e solo lo 0,1 % di proprietà individuale.
A partire dal 1953 vennero realizzati piani quinquennali. Tutto ciò che le imprese producevano, quanto producevano e come producevano veniva deciso dal governo. Le imprese necessitavano dell’approvazione del governo anche per installare una toilette. Allo stesso modo, cosa i contadini coltivavano e come lo coltivavano veniva deciso dal governo.
[…] Siccome il potere economico era altamente centralizzato, era inevitabile che anche il sistema politico ad esso correlato fosse altrettanto centralizzato. Il grado di interrelazione della società moderna cinese era piuttosto elevato e ciò faceva sì che tale livello di concentrazione fosse superiore a quello esistente nelle società autoritarie del passato. […] Dato che la politica e l’economia obbedivano a un solo ordine, altre voci non erano tollerate. Tutte le opinioni divergenti venivano definite “rumore” e “baccano” da eliminare. Poiché il lavoro, la vita e i consumi di ogni persona venivano controllati dalle più alte autorità e dai loro sottoposti, ogni strato, dall’alto al basso, schiavizzava quello successivo. Per questa ragione, ogni persona aveva un doppio ruolo: quello di servo nei confronti del livello superiore e quello di padrone nei confronti del livello inferiore. Era proprio questo il carattere nazionale del sistema dittatoriale. Il potere assoluto corrompe assolutamente. All’interno del sistema totalitario la corruzione dei quadri era inevitabile. Mentre i contadini morivano di fame in massa, i quadri cercavano il guadagno personale abusando della propria posizione. Più grande era il potere, più grande il tornaconto. I quadri di base lo facevano per saziarsi, quelli di alto livello per la ricerca del piacere.
Sotto il regime di economia pianificata e il sistema politico totalitario, ovunque nel Paese esistevano le stesse strutture organizzative e venivano applicate le medesime politiche; in tutto il Paese, ogni singolo individuo viveva integrato in una specifica organizzazione sotto la guida del Partito comunista cinese, tutti gridavano gli stessi slogan e facevano gli stessi discorsi politici. Ovunque i funzionari di diverse località tenevano nello stesso momento riunioni dal contenuto identico. La libertà individuale dei membri della società era scomparsa completamente.
In un periodo senza guerre, senza epidemie e con condizioni climatiche normali, sono morte di fame 30 o 40 milioni di persone. I dirigenti che causarono una tale catastrofe non erano demoni e non erano neppure pazzi, ma erano piuttosto rivoluzionari dall’intelligenza superiore alla norma e con in mente grandi ideali. La congiuntura storica ha voluto che essi guidassero la Cina a percorrere una via che seguiva il modello sovietico. I rivoluzionari cinesi credevano che questa via avrebbe potuto rendere il Paese ricco e forte e portare la felicità al popolo. Essa invece condusse alla morte. Ciò conferma le parole di Hayek: «Quando esercitiamo tutte le nostre forze per plasmare consapevolmente il nostro futuro in base a sublimi ideali, in realtà generiamo inconsapevolmente risultati opposti a ciò per cui abbiamo sempre combattuto». Mao Zedong sperava di condurre la Cina verso il paradiso, ma in realtà la condusse all’inferno.
Perché grandi ideali hanno generato “grandi” tragedie? Anche a questa domanda si può trovare una risposta negli scritti di Hayek: perché i rivoluzionari cinesi costruirono un sistema sulla base di una “grande utopia” (nelle parole di Hayek). Questo sistema consisteva nel «centralizzare l’amministrazione e l’organizzazione di tutte le nostre attività sulla base di “progetti” appositamente strutturati». «Ogni cosa viene guidata dal centro, unico e impareggiabile». «Organizzare l’intera società e tutte le sue risorse per perseguire uno scopo unitario e rifiutarsi di riconoscere la superiorità della sfera di autonomia individuale». Questo »scopo unitario» era una «grande utopia»: il comunismo.
Testo tratto da La Grande carestia cinese (1958-1962) di Yang Jisheng, Occasional Paper #99 dell’Istituto Bruno Leoni
da domani disponibile sul sito www.brunoleoni.it