Il Sole Domenica 17.5.15
Non solo ’68
La radice antica dei movimenti
di David Bidussa
Movimenti, impegno pubblico, sono esperienze e scelte che non significano antipolitica o rifiuto del sistema dei partiti. Oggi hanno assunto prevalentemente questo connotato. Non sempre è stato così.
È uno dei due luoghi comuni che Marica Tolomelli rimuove: L’Italia dei movimenti è una buona guida per restituire alla categoria d’impegno civile e alla storia dei movimenti una storia e una profondità che oggi sembrano perdute. Contemporaneamente fornisce una diversa visione degli ultimi settanta anni in Italia.
Tolomelli giustamente, rileva un secondo luogo comune che occorre cancellare: ovvero la convinzione che tutto sia nato nel Sessantotto.
Quello dei movimenti è, invece, un percorso che inizia alla fine degli anni ’40 segnato dall’impegno per il miglioramento della qualità della vita in cui s’intrecciano momenti e temi diversi: pace, disarmo, tempo libero, diritti di genere, educazione al consumo, ambiente. Impegno che all’inizio è dentro i partiti, in accordo con essi, poi in opposizione, comunque in autonomia.
Un rapporto non univoco e inquieto, fin dalle origini, che mette l’accento non solo sulla pratica della democrazia, ma soprattutto sulla presenza della società civile e che ha come partita la qualità del futuro. Il principio non è solo un futuro diverso è possibile, ma anche l’affermare: con il futuro non si scherza.
Sono gli anni dei primi movimenti per la pace che hanno la loro origine soprattutto in Gran Bretagna intorno a grandi figure morali (Bertrand Russell per esempio) a cui in Italia corrispondono Aldo Capitini, Danilo Dolci, Giorgio La Pira, Don Primo Mazzolari, e nascono iniziative come la marcia della pace di Assisi. Sono anni in cui anche i partiti politici, che nell’Italia dopo il fascismo esprimevano la voglia di esserci, contro la mobilitazione coercitiva del partito-Stato rappresentata dal fascismo, hanno la percezione che quei movimenti, con cui pure possono non essere concordi, testimoniano di una crescita democratica. In ogni caso rappresentano uno stimolo, e non un handicap.
Una condizione che lentamente muta a partire dal ’68. È il «militante rivoluzionario» a rappresentare questa metamorfosi, uno che «non lotta per vivere, ma vive per lottare». Una figura che è il residuo dei movimenti collettivi studenteschi tra 1966 e 1969, e che poi è al centro dei conflitti sociali di quegli anni, e che soprattutto esprime la mutazione della mentalità dei movimenti.
Tolomelli insiste in un lungo capitolo dedicato alla cittadinanza di genere come non sia così per tutti. I movimenti che hanno al centro la condizione della donna, infatti, lacerano anche chi aveva pensato di essere il superamento dei partiti politici. La loro storia non si riassume solo nella richiesta di più eguaglianza, ma inaugura un diverso modo di pensare e vivere il privato proponendo una riforma culturale, prima ancora che politica, di essere e vivere nella società.
A questo si accompagna un secondo fenomeno che introduce lentamente agli anni del disincanto: la corruzione politica, l’accumularsi degli scandali, la sensazione che una parte dell’handicap per lo sviluppo non sia il rifiuto dell’impegno, ma la professionalizzazione della politica.
È questo il terreno su cui si costruiscono i movimenti degli anni ’80. Anni che segnano la crisi e poi il crollo della repubblica dei partiti e alimentano l’idea (ma più spesso la falsa idea) che senza la politica si può.
Una condizione che oscilla tra due poli: da una parte la riappropriazione della politica come area in cui conta il proprio malessere (che spesso è anche un malvivere); dall’altra la nascita di movimenti personalisti, sempre più leaderistici, in cui il mito della «centralità della propria persona» si risolve nella pratica della leadership affidata al personaggio cui si mette in mano il proprio destino.
Marica Tolomelli, L’Italia dei movimenti. Politica e società nella Prima repubblica, Carocci, Roma, pagg. 256, € 17,00