lunedì 4 maggio 2015

Il Sole 4.5.15
Le sanatorie non bastano, va cambiata l’organizzazione
di Luisa Ribolzi


Per contribuire alla valutazione del Ddl sulla buona scuola, che vaga tra ripensamenti, eccesso di deleghe e scarsa chiarezza nella formulazione (ha ricevuto 11 pagine di critiche dal comitato per la legislazione della Camera!), partirei dall’osservare che si sta trascurando che la scuola è fatta per gli studenti, non per gli insegnanti, e al di là delle affermazioni generiche sullo “studente al centro” trovo poco su di una progettazione educativa efficace, che non può essere lasciata solo alla normativa standardizzata del centro, ma deve essere elaborata dalle scuole con il contributo delle famiglie e della comunità, per rispondere alle articolazioni della domanda educativa.
Sono poi certa che un’assunzione in massa non risolverebbe il problema del precariato. Nel 1985 il Rapporto Censis scriveva: «Dal 1981 sono stati immessi nei ruoli della scuola statale 200.000 unità su un totale di 800.000 insegnanti (… )d’altra parte è necessario ricordare che una buon parte di questi “duecentomila” erano già presenti nella scuola come insegnanti, sia pure a titolo precario (...). La legge 270 impedisce che si riformi il precariato stabile; ma è certo da considerare per il futuro la possibilità del consolidarsi di un'area di precariato “saltuario”».
Se dopo trent’anni il precariato non è saltuario ma stabile, non è (solo) per mancanza di soldi o di volontà politica, ma perché è non è stato cambiato il modello organizzativo. Il personale docente va reclutato dalle scuole o dalle reti di scuole, altrimenti è inevitabile che si creino forti scostamenti fra domanda e offerta. Lo Stato deve solo fissare i requisiti per l’accesso alla carriera e poi valutare le scuole, che sapranno organizzarsi al meglio, pena la perdita (di parte) dei finanziamenti: fin quando lo Stato sarà il datore di lavoro, e un datore di lavoro debole perché vittima di troppi condizionamenti politici, non sarà possibile, come non lo è stato finora, uscire dalla trappola del precariato.
Ho poi l’impressione che i sindacati non intendano rinunciare a presentarsi come difensori del “diritto” dei precari al posto di lavoro, ipotesi supportata dal fatto che continuano ad alzare l’asticella. Il che fa pensare che al centro dell’opposizione ci sia anche qualcos’altro, per esempio un contenzioso con il Governo sugli spazi di potere, alle cui possibili conseguenze negative in termini di qualità dell’istruzione nessuno sembra interessato.
Il balletto delle cifre è reso possibile dall’inadeguatezza delle informazioni, che non consentono di comparare in modo sistematico domanda e offerta di docenti per area disciplinare, livello di istruzione e area geografica: l’affermazione che saranno comunque necessari supplenti lascia pensare che il ministero una qualche stima l’abbia fatta. Se però i precari fossero davvero più di 600mila, come sarebbe possibile, a parte il problema di pagarli, progettare il futuro e introdurre criteri di merito?
Mi pare che le ragioni del contendere siano altre. Nel frattempo, il tema del precariato ha cannibalizzato il dibattito e non si parla quasi dell’autonomia, della governance, del finanziamento delle istituzioni, del raccordo con il mondo del lavoro, della valutazione, dei veri problemi di una scuola che tanto buona non mi pare più.