Il Sole 31.5.15
Un test che vale per quattro
di Lina Palmerini
«Non è un test su di me» dice Renzi. Invece lo è, così come per Hollande a marzo e per Rajoy una settimana fa. Sotto esame però ci sono tutti i leader, da Berlusconi a Salvini e Grillo, ciascuno con una scommessa da vincere.
Se ieri Matteo Renzi ha provato a togliersi di dosso la pressione di queste regionali non gli è riuscito. È indubbio che il test è su di lui, diversamente da come diceva ieri da Trento. Lui è il premier, lui è il leader del Pd e si vota in sette Regioni: basta fare la somma di questi tre dati per concludere che il voto andrà necessariamente riferito anche al suo Governo e non solo alla credibilità dei vari candidati Governatori. Del resto è così per ogni premier europeo. A marzo c’è stata la disfatta di Hollande in Francia: anche lì era un test amministrativo ma è bastato per indebolire il presidente dopo che i socialisti sono arrivati al terzo posto, dopo la rinascita di Sarkozy e nonostante la frenata di Marine Le Pen. Stesso bilancio politico per Mariano Rajoy quando la scorsa settimana, sempre in un voto amministrativo, è uscito sconfitto mentre Podemos ha fatto riaccendere l’allarme rosso del populismo in Europa.
Insomma, togliersi dalla scena se si è premier e se si vota in Regioni non minori è un’operazione senza senso. Ed è strano che l’abbia detto ieri, quando la vicenda della Bindi e degli impresentabili ha reso ancora più chiaro agli elettori che la posta in gioco riguarda lui e il suo Governo. Lui e il “suo” Pd. La Campania e la Liguria hanno ormai assunto un carattere nazionale marcato e se pure gli sconfitti saranno De Luca e la Paita, le conseguenze saranno a carico di Renzi. E non solo nel dibattito nazionale, anche in Europa si valuterà l’esito del voto per capire la tenuta dell'Esecutivo e le probabilità di mantenere quel percorso di riforme grazie al quale sono stati ottenuti margini di flessibilità sui conti.
Naturalmente i riflettori puntano al premier ma il test non è solo per lui. Come in Europa anche da noi ci sono un paio di scommesse in corso. Quella di Silvio Berlusconi, innanzitutto. Arriva al voto con un partito dilaniato, con una spaccatura conclamata in Puglia e con l’incubo del sorpasso della Lega. La scommessa del Cavaliere si chiama “sopravvivenza” dignitosa: un’ulteriore perdita di consensi viene messa in conto ma lo spettro è l’umiliazione. Vedere cioè che la destra è solo Salvini con pochissimo intorno e quel poco è anche diviso. Mantenersi ancora un po' sopra o alla pari con la Lega consentirà al Cavaliere di compiere quei passi che ora si scorgono appena. Riallacciare i fili del patto del Nazareno su basi diverse. E aprire una fase di disgelo con il Colle dopo lo strappo di febbraio. Domani, al ricevimento al Quirinale è prevista la presenza di Berlusconi ma una sconfitta bruciante potrebbe indurre a ripensamenti. Anche perché, a quel punto, diventerebbe Salvini la controparte politica di destra.
Infine ci sono le due declinazioni di populismi nostrani. Sia Salvini che Grillo arrivano all’appuntamento preceduti da alcuni successi di partiti europei omologhi e pure da qualche insuccesso. Per il leader della Lega, arrivato alle urne dopo una scissione interna con Flavio Tosi, la scommessa si chiama sorpasso da Forza Italia. Da lunedì, se il suo sarà un successo, potrà cominciare la scalata alla leadership di tutto il centro-destra e sarà di fatto lui il principale oppositore di Renzi.
La scommessa di Grillo è invece il “recupero”. Ovvero rimontare e riconquistare voti dopo la disfatta degli ultimi test regionali in Emilia e in Calabria. Soprattutto perché questa campagna elettorale si è svolta su un terreno del tutto ideale e congeniale per i grillini: i vitalizi o le liste di impresentabili, sono il “core business” del Movimento. E dunque anche confermare quel 21% delle europee di un anno fa non potrà essere definito un successo.