Il Sole 30.5.15
Anche lo Yuan nelle riserve della Banca d’Italia
di Rita Fatiguso
Pechino Debutto d’onore di Sua Maestà il Renminbi nella riserva della Banca d'Italia. Che lo dichiara apertamente a pagina 162 della Relazione Annuale fresca d’inchiostro: nel 2014 sono stati effettuati per la prima volta acquisti di renminbi cinesi che, alla fine dell’anno, incidevano sul portafoglio complessivo per lo 0,30%.
In valore assoluto la provvista è di 85 milioni,non proprio una fortuna, ma è il gesto che conta. La moneta di Pechino, infatti, non è convertibile, pertanto, tecnicamente, non potrebbe essere ascritta a riserva, infatti le Banche Centrali che fanno provvista di renminbi non sono tenute a dichiararle in bilancio.
Ma il coming out ormai è partito, in molte realtà gli acquisti di renminbi sono un dato di fatto. Anche Banca d’Italia, nonostante i limiti che caratterizzano il renminbi, si unisce al drappello delle Banche Centrali che hanno inserito questa moneta nelle riserve.
Dalla Nigeria che detiene il 10% all’Australia che ha deciso di attenersi al 4% alla Malesia che acquista renminbi a go-go. Tutti casi che dimostrano la crescente, carsica e pervasiva presenza globale del renminbi.
All’internazionalizzazione della moneta Pechino si sta dedicando con metodo certosino. Ora non c’è più soltanto la vicina Hong Kong che già totalizza il 70% del totale di tutte le transazioni in renminbi fuori dalla Cina, pari a un giro di affari di 800 miliardi al giorno. Negli ultimi cinque anni il processo di internazionalizzazione della valuta ha toccato la cifra di 1,8 trilioni di depositi denominati in euro, il renminbi è già la seconda più importante valuta di finanziamento del commercio mondiale, la sesta moneta più scambiata nelle transazioni.
La possibilità che il renminbi funzioni da reserve currency rappresenta il top di questa scalata mondiale, dopo le transazioni e gli investimenti denominati in renminbi e lo sviluppo di hub offshore localizzati in mezzo mondo, infatti, è la volta delle Banche centrali.
Perché le cose potrebbero cambiare a breve, accelerando i tempi sulla data del 2020 fissata dal Governatore cinese Zhou Xiaochun come la deadline della convertibilità totale.
Se il renminbi, ad esempio, entrasse nel paniere dei diritti speciali di prelievo del Fondo monetario che sarà rinegoziato entro l’anno, un obiettivo al quale la Cina punta con fermezza, lo scenario cambierebbe decisamente.
Costruendo i loro portafogli facilitati da bassi o addirittura negativi tassi di interesse ma anche dalla baldanza del renminbi stesso, molte Banche Centrali stanno cambiando rotta rispetto al passato.
L’Official monetary and financial institutions forum (Omfif) ha calcolato che i Cofer data dell’Fmi con i quali si illustra la composizione delle riserve mondiali (che non includono, almeno non ancora il renminbi proprio a causa della non convertibilità), mostrano un recente interesse nella diversificazione dall’oro e dalle solite riserve monetarie.
Certo, quando il Fondo monetario avrà deciso cosa fare del renminbi e se deciderà di includerlo nel paniere, tutte le Banche Centrali diventeranno automaticamente detentrici di renminbi attraverso i loro Diritti speciali di prelievo.
Per la cronaca, sempre nella Relazione si legge che la Banca d’Italia dichiara 3.989 milioni di euro di attività nette verso l’Fmi, inclusi i Diritti speciali di prelievo, in calo rispetto ai 4.534 del 2013.
Chi fa incetta oggi di renminbi, quindi, si porta ancora più avanti, spianando a sua volta la strada alla moneta di Pechino.