martedì 26 maggio 2015

Il Sole 26.5.15
New Delhi vuole incentivare il deposito di metallo in banca
Cina e India puntano a cambiare i modelli di investimento in oro
Pechino annuncia l’avvio di un maxi fondo aurifero
di Sissi Bellomo


Cina e India stanno adottando politiche che potrebbero ridisegnare i modelli di consumo di oro: misure ancora allo stadio iniziale, ma che potrebbero avere un impatto sul mercato, considerato che le due potenze asiatiche rappresentano insieme oltre la metà della domanda globale del metallo.
L’iniziativa di Pechino in particolare potrebbe accelerare la domanda di oro per investimento. Lo Shanghai Securities News riferisce che è stato avviato un fondo che punta a raccogliere 100 miliardi di yuan in tre anni, ossia circa 16 miliardi di dollari, destinato a investire in società aurifere e ad emettere Etf sull’oro fisico. Nel fondo sono state coinvolti due tra i maggiori produttori locali del metallo, Shandong Gold Group e Shaanxi Gold Group, rispettivamente con il 35 e il 25%, mentre il resto delle quote sarà rilevato da istituzioni finanziarie. Il progetto, secondo il giornale, si inserisce nell’ambito della nuova “Via della seta”, il piano annunciato nei mesi scorsi dalla Cina, che punta a rafforzare i legami commerciali con gli altri Paesi asiatici, al punto da sviluppare - nelle ambizioni del presidente Xi Jinping - un interscambio superiore a 2.500 miliardi di $ nel giro di un decennio (gli scambi Cina-Europa oggi non arrivano a 500 miliardi di $).
Più incerte - ma di probabile marca ribassista - le conseguenze delle nuove misure allo studio in India. Dopo aver a lungo cercato di frenare l’eccesso di importazioni di oro, tra i maggiori responsabili del deficit commerciale, New Delhi vorrebbe ora incentivare il deposito di oro presso le banche, che a loro volta rifornirebbero i gioiellieri, diminuendo la necessità di acquistare metallo all’estero.
Il World Gold Council stima che in India ci siano fino a 22mila tonnellate di oro custodito, spesso sotto forma di gioielli, nelle case e nei templi Hindu: oro che molto spesso le famiglie acquistano per i matrimoni, ma che viene indossato solo durante la cerimonia, per poi essere messo da parte come un bene di investimento: una forma di assicurazione in caso di difficoltà economiche, particolarmente apprezzata non solo per motivi culturali, ma perché il Paese ha un sistema finanziario tuttora poco sviluppato e scarsamente accessibile ai piccoli risparmiatori.
Il progetto, su cui il Governo di Narendra Modi sta ancora lavorando, rispolvera un’esperienza già tentata con scarsi risultati nel 1999: gli indiani allora non risposero all’invito a depositare l’oro in banca, forse anche perché si videro offrire tassi di remunerazione troppo bassi. Anche stavolta il rischio di un flop è alto: «Se ci sono ragioni sentimentali di attaccamento ai gioielli, allora non si fa parte della platea cui è diretto lo schema - avverte Sonal Varma, capoeconomista India di Nomura - I destinatari dovrebbero essere individui facoltosi o famiglie a medio reddito che conservano oro solo a fini di investimento. Un target primario potrebbero anche essere i templi». Se anche si raccogliessero solo 100 o 200 tonnellate di oro l’anno, spiega Varma, il beneficio per la bilancia commerciale indiana sarebbe dell’ordine di miliardi di dollari.
È evidente che in questo caso per il mercato dell’oro si tratterebbe di un fattore ribassista. Includere negli scenari di prezzo le politiche di Cina e India sembra comunque prematuro. Al momento a guidare il mercato continuano ad essere soprattutto le politiche monetarie Usa l’orientamento ad alzare i tassi entro fine anno, fornito la settimana scorsa della Federal Reserve, ha depresso le quotazioni del lingotto, che ieri - in una seduta molto sottile, per via delle festività negli Usa e in Gran Bretagna - ha continuato a oscillare poco sopra 1.200 $/oncia, vicino ai minimi da due settimane.