Il Sole 24.5.15
Il fronte greco. Il Fondo monetario insiste sulle riforme su cui Atene è più riluttante
Perché il governo Tsipras non può «liberarsi» dell’Fmi
di Alessandro Merli
Quando Angela Merkel e François Hollande hanno spiegato al primo ministro greco Alexis Tsipras, al vertice europeo di Riga, che un accordo era impensabile senza la partecipazione del Fondo monetario, hanno aggiunto un capitolo alla storia, complessa e controversa, dei rapporti di Atene con l’Fmi.
Una storia cominciata, allo scoppio della crisi quasi sei anni fa, con il rifiuto degli europei a coinvolgere l’istituzione di Washington: ce la possiamo fare da soli, era la linea di Bruxelles e Francoforte. Il riconoscimento che l’Eurozona non disponeva allora né degli strumenti, né delle risorse per affrontare il caso Grecia e le pressioni della capitale non ufficiale dell’unione monetaria, Berlino, portarono alla chiamata del Fondo a partecipare alla troika (oggi ribattezzata “le istituzioni” per compiacere le sensibilità etimologiche del Governo Tsipras).
L’Fmi si è trovato spesso a disagio in un ruolo “junior” rispetto agli altri due membri del terzetto, Commissione e Banca centrale europea: per il fatto che a volte, proponendo soluzioni più morbide, le vedesse rigettate dai partner europei, e per l’opposizione interna alla massiccia esposizione verso un Paese europeo sottraendo risorse a Paesi più bisognosi. La scelta nei giorni scorsi da parte di Atene di rimborsare 750 milioni all’Fmi con riserve detenute presso lo stesso Fondo, seppur legale, non ha certo contribuito a migliorare la situazione.
Si è arrivati così alla scomoda posizione attuale in cui sono le scadenze verso l’Fmi il problema più pressante per la liquidità ormai quasi inesistente del Governo greco. Non va dimenticato che non ci sono precedenti per il default nei confronti dell’Fmi da parte di un Paese avanzato: nel recente passato i casi di mancato rimborso riguardano Stati completamente falliti come lo Zimbabwe e il Sudan.
Il programma di prestiti dell’Fmi alla Grecia non scade fino al marzo 2016, ma per continuare a sborsare le prossime tranche in base alle proprie regole, l’istituzione guidata da Christine Lagarde deve avere la sicurezza che il Paese ha le risorse per coprire tutto il suo fabbisogno finanziario fino a fine programma. Questo è chiaramente impossibile senza un’intesa con l’Europa, che dovrà abbracciare un terzo pacchetto di aiuti, dato che l’attuale programma è scaduto a fine febbraio ed è stato rinnovato solo fino a fine giugno. Non a caso anche in questi giorni Lagarde ha sottolineato che c’è bisogno di un accordo complessivo, non solo di un’intesa parziale che consenta alla Grecia di sopravvivere per le prossime settimane.
Nel confronto con Atene e gli altri creditori il Fondo ha sottolineato che la sostenibilità del debito greco, condizione necessaria per la continuazione del sostegno finanziario, dipende dalle misure messe in campo dal Paese, e queste ancora mancano: soprattutto non sono state quantificate. Il che non significa, puntualizzano all’Fmi, essere favorevoli alla ristrutturazione del debito greco. Al Fondo ritengono anzi che quello del debito sia un falso problema, almeno per diversi anni, visto il bassissimo costo del debito e le lunghe scadenze del debito greco. Ma la sostenibilità può essere assicurata solo con l’attuazione delle riforme che Tsipras è più riluttante a realizzare, mercato del lavoro e pensioni.
Il problema torna quindi alla politica: la politica interna greca, dove il Governo si trova ad affrontare una resistenza sempre più forte della sinistra di Syriza, e quella tedesca, dove il cancelliere Merkel, che vuol evitare l’uscita della Grecia dall’euro ma non a ogni costo, è a sua volta alle prese con una fronda fra i suoi democristiani. Europa, Fmi e Atene dovranno arrivare a un’intesa. Tornato da Riga, Tsipras ha affrontato il Comitato centrale di Syriza: il governo greco non si piegherà di fronte a proposte «irrazionali», ha detto, poiché ha già fatto la sua parte per arrivare a un compromesso sul suo debito che sarà possibile se «l’Europa fa la sua parte».